Puglia

Le Origini

Trulli e barocco leccese, olivi ordinati in terreni delimitati da bianchi muretti a secco e acque turchesi, sono le immagini immediate di questa penisola affacciata sul Mare Mediterraneo, cerniera naturale tra l’Occidente e l’Oriente. La Puglia è stata per millenni un crocevia di culture e costumi, tradizioni e scambi commerciali, che hanno lasciato un segno indelebile nel suo patrimonio vitivinicolo e gastronomico.

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, questa regione si è caratterizzata per la produzione di grandi quantità di vini rossi, ricchi di colore, estratto e componente alcolica, ma dotati di scarsa acidità, destinati al taglio di vini esili dell’Italia Settentrionale e della Francia. Nello stesso periodo i vini bianchi pugliesi erano utilizzati come basi per la produzione di Vermouth.

Solo a partire dagli anni ’70 è iniziata una riscossa enologica che, seppure lentamente, ha portato a un profondo cambiamento della filosofia produttiva in vigna e in cantina, che ha coinvolto il negroamaro salentino, impiegato per la produzione di ottimi vini rossi e di magnifici rosati, seguito dal primitivo, dall’uva di Troia e da altri vitigni.

Il potenziale vitivinicolo della Puglia non si è ancora completamente espresso, ma negli untimi anni questa regione ha fatto passi da gigante e oggi vanta un’ampia gamma di vini rossi e rosati di antica tradizione riproposti secondo nuovi canoni di produzione, vini bianchi di taglio moderno e interessanti vini dolci e spumanti.

I vini pugliesi si sposano perfettamente con una gastronomia di autentico respiro mediterraneo, nel solco della tradizione greco-romana e segnata da influenze arabe, normanno-sveve, spagnole e francesi.

Tra i primi piatti, le orecchiette con le cime di rapa e la tiella di patate, riso e cozze si possono abbinare con un fresco Locorotondo Bianco o con un Minutolo della Valle d’Itria o della Murgia Centrale, delicatamente aromatico, mentre le numerose zuppe di pesce e il baccalà con patate e olive al farno si esaltano con un rosato del Salento di buona struttura.

Una tradizione tipicamente pugliese è quella della carne cotta al fornello, con numerose ghiotte specialità come gnumerieddi e bombette, salsiccia a punta di coltello e zampina, perfetti con un Primitivo di Manduria o un Salice Salentino Rosso, mentre l’agnello al forno con patate, lampascioni e funghi cardoncelli si abbina bene con un Castel del Monte Nero di Troia Riserva. Tutti piatti da accompagnare con il fragrante pane di Altamura DOP.

Dolcetti di pasta di mandorle, bocconotti, sassanelli, fichi secchi mandorlati e cartellate chiudono il pasto con grande dolcezza, accompagnati da un delizioso sorso di Moscato di Trani o di Primitivo di Manduria Dolce Naturale.

Il clima ed il territorio

Il territorio pugliese è prevalentemente pianeggiante (53%) e collinare (45%), e si estende come il tacco di uno stivale per oltre 350 chilometri tra il Mare Adriatico e il Mar lonio.

Il clima tipicamente mediterraneo, con inverni miti e scarsamente piovosi ed estati calde, ventilate e asciutte, favorisce la produzione di vini strutturati e intensamente colorati, mentre è decisamente caldo nel Tavoliere e in alcune altre zone pianeggianti.

I terreni sono soprattutto calcareo-argillosi, anche se le diverse zone presentano peculiarità che si riflettono nel carattere dei vini.

Nella Capitanata, la parte più settentrionale della Puglia, i vigneti sono distribuiti sui versanti meglio esposti delle colline del sub-appennino dauno, ai piedi del Gargano e nel vasto Tavoliere, e i suoli sono prevalentemente alluvionali, ma i migliori risultati si raggiungono nei terreni calcarei e sabbiosi, con vini bianchi e rosati piacevoli e vini rossi di pronta beva, ottenuti prevalentemente da uva di Troia, montepulciano e sangiovese.

L’altopiano carsico delle Murge, dal latino murex o pietra aguzza, che si estende fino alle Serre Salentine, presenta grotte, puli e gravine, che alimentano una complessa rete idrografica sotterranea, alla quale attingono le radici della vite durante gli afosi mesi estivi. Le notevoli escursioni termiche e i terreni calcareo-argillosi o siliceo-argillosi, portano a vini bianchi e rosati freschi e di buona eleganza, mentre i rossi, da uva di Troia più a nord e da primitivo più a sud, sfoderano ottima struttura, bella spalla e sorprendente longevità. Sulle coste tra le Murge e il Mare Adriatico, i suoli acido-tufacei e sabbiosi sono l’habitat ideale del moscato reale.

Nell’arco ionico-tarantino, dalle Murge alla penisola salentina, con colline basse e una vasta fascia costiera, accanto alle terre rosse che poggiano su uno zoccolo calcareo, si trovano suoli alluvionali e sabbiosi, in particolare vicino alla costa. Qui, a partire almeno dalla fine dell’800, si è perfettamente acclimatato il primitivo, che nei terreni calcareo-argillosi dà vini più strutturati, nei suoli alluvionali più polposi, nelle terre tufacee più freschi, mentre in quelle sabbiose vicine alla costa ionica sono meno potenti ma decisamente fini.

Infine, le tipiche terre rosse salentine, mix di calcare e argilla, danno vigore a rinomati vini rossi e rosati da negroamaro, con l’eventuale contributo di altri vitigni locali a bacca nera.

Zone vitivinicole

In Puglia, penisola allungata tra due mari, si possono evidenziare alcune importanti zone vitivinicole che, lungo un percorso da nord a sud, sono la Capitanata, la Murgia Centrale, la Valle d’Itria e il Salento, che comprende il Tarantino, il Basso e l’Alto Salento.

Superato il confine molisano, si entra nella Capitanata, chiamata anticamente Daunia e corrispondente oggi alla provincia di Foggia, dove a denominazioni consolidate come quella di San Severo, si è aggiunta da poco Tavoliere delle Puglie o Tavoliere, che mira alla valorizzazione dell’uva di Troia, la varietà locale a bacca nera di maggiore interesse.

Chiamata localmente sumarello o nero di Troia e molto adatta alla produzione di vini rossi e rosati, è sempre più spesso vinificata in purezza, anche se non mancano blend con montepulciano, sangiovese e uve a bacca bianca, come avviene per il gustoso Cacc’e Mmitte di Lucera DOC. Vitigno riscoperto alcuni anni fa e oggi coltivato in pochi ettari tra le colline intorno a Orsara di Puglia nel sub-appennino dauno, il tuccanese, forse un clone di sangiovese, dà interessanti vini di nicchia, lavorati in purezza o in uvaggio con uva di Troia, strutturati e vellutati, con profumi di marasca, prugna, viola, iris e una leggera speziatura. Vini da provare con il coniglio ripieno. Negli ultimi anni si stanno valorizzando falanghina, fiano, greco e bombino bianco che, in particolare, dà sentori di mela golden, pesca bianca e delicate sfumature floreali; inoltre, le gradevoli freschezza e mineralità lo rendono ideale per la produzione di spumanti metodo Classico.

Nella parte settentrionale della Murgia Centrale, zona altamente vocata per la vitivinicoltura, si assiste recentemente a un significativo rilancio della qualità. I vini rossi più prestigiosi sono complessi, strutturati e longevi, e nascono da uva di Troia e da aglianico in purezza oppure da blend tra almeno una di tali varietà con il montepulciano nelle DOCG Riserva del Castel del Monte Nero di Troia e Castel del Monte Rosso, oltre che nel Castel Del Monte Aglianico DOC. Tutti vini da provare, per esempio, con capretto al ginepro.

Sempre più apprezzato è anche l’ottimo Castel del Monte Bombino Nero DOCG, grazie al magnifico colore rosato, alla finezza dei profumi fruttati e alla grande freschezza e sapidità. Un vino perfetto con orata alle erbe aromatiche.

Anche la produzione di vini bianchi mostra segnali di ripresa, grazie alla riscoperta di bombino bianco e pampanuto e alla conferma di chardonnay, sauvignon e pinot bianco nella denominazione Castel del Monte. Dopo lunghi anni di crisi, si sta riscoprendo il delse Moscato di Trani DOC, che offre ricordi di albicocca disidratata, scorza di cedro e arancia, pesca gialla e mimosa, caprifoglio e zagara, su sfondo di muschio, salvia e rosmarino. Un vino da provare con dolcetti di pasta di mandorle.

Nella parte meridionale della Murgia Centrale si estendono le colline calcaree delle denominazioni Gravina e Gioia del Colle e, per la parte che appartiene alla provincia di Bari, Locorotondo e Martina Franca, oltre che le IGP Murgia e Valle d’Itria, anche se quest’ultima si trova a cavallo delle province di Bari, Brindisi e Taranto.
L’uva più prestigiosa è il primitivo, che oggi si esprime con particolare eleganza, arricchendosi di vivide componenti fresco-sapide e dimostrando una sorprendente longevità, specie nei vini ottenuti da vecchi alberelli e nella Riserva del Gioia del Colle DOC.

In questa zona si sta anche cercando di rilanciare i vini rosati elaborati da primitivo in purezza o in blend con aglianico, aleatico o montepulciano. Le favorevoli caratteristiche pedoclimatiche della Murgia barese e della pittoresca Valle d’Itria favoriscono la produzione di gradevoli vini bianchi, nella zona di Gravina da malvasia bianca lunga e greco, nell’area di Gioia del Colle da trebbiano toscano, chardonnay, falanghina, greco, malvasia bianca e minutolo, in quella di Locorotondo da verdeca, bianco d’Alessano e minutolo, assemblati o in purezza. Vini molto piacevoli, per esempio, con la burrata o con deliziosi stuzzichini di mozzarella. Nella Murgia barese meritano un assaggio anche i vini dolci elaborati a partire da aleatico e malvasia bianca.

Nell’arco ionico-tarantino, corrispondente alla provincia di Taranto, tra le colline punteggiate di trulli e disegnate da muretti in pietra carsica, dai vigneti della denominazione Martina Franca si elaborano vini bianchi fermi o spumanti metodo Martinotti, che puntano su verdeca, bianco d’Alessano e minutolo.

Nelle terre soleggiate dell’area del Golfo di Taranto si trovano le vigne dove il primitivo offre espressioni di assoluto rilievo, grazie alla svolta determinata da alcuni produttori.

Il Primitivo di Manduria Dolce Naturale DOCG stupisce per struttura e opulenza, misurata dolcezza e vellutata avvolgenza ed è un ottimo vino da conversazione, perfetto anche con fichi secchi mandorlati ricoperti di cioccolato fondente. Limitate ma di buon livello sono le produzioni locali di vini da negroamaro e malvasia nera, mentre per rilanciare i vini bianchi si sta puntando soprattutto su minutolo, fiano, verdeca, chardonnay e viognier, che danno vini piacevoli e delicatamente profumati.

La denominazione Colline Joniche Tarantine, con vigneti impiantati a spalliera situati tra i 190-300 metri, presenta un Primitivo con caratteri intermedi tra quelli delle zone gioiese e manduriana.

E si arriva nel Salento, una penisola pianeggiante detta Tavoliere di Lecce, che si solleva negli ultimi rilievi dell’altopiano murgiano e nelle Serre Salentine. Il microclima è unico, con il caldo estivo mitigato dalle brezze marine che spirano da una costa all’altra, che creano un clima simile a quello collinare.
Nell’Alto Salento, le terre brindisine sono particolarmente vocate per la coltivazione del negroamaro e danno vini rossi e rosati, a volte eccellenti, nelle denominazioni Brindisi e Salice Salentino e nelle IGP Salento e Puglia.

A partire dalla metà degli anni ’70 sono stati concepiti alcuni grandi vini rossi da negroamaro, ottenuti da uve di vecchi alberelli lasciate sovramaturare sulla pianta o anche appassire su graticci, con successivo passaggio in barrique per domarne l’irruente vena tannica. Un importante ruolo complementare nella produzione di vini rossi e rosati è svolto da malvasia nera di Brindisi, primitivo, cabernet sauvignon e susumaniello. In passato, quest’ultimo era utilizzato nel Brindisino a scopo tintorio e per la produzione di filtrati dolci. Molto produttivo in gioventù, diventa avaro di grappoli dopo i 10-15 anni, consentendo la produzione di vini rossi concentrati e con piacevoli profumi fruttati e speziati, ottima spalla acida e contenuta vena tannica, da provare in un intrigante abbinamento con il gulasch.

Una produzione davvero di nicchia è quella di vini rossi beverini gradevolmente fruttati ottenuti da ottavianello nell’Ostuni DOC. Questo vitigno, conosciuto in Francia come cinsaut e in Repubblica Sudatricana come hermitage, fu portato da Ottaviano, in provincia di Napoli, a San Vito dei Normanni dal Marchese di Bugnano. Altrettanto poco diffusi sono l’impigno e il francavilla, utilizzati con verdeca e bianco d’Alessano per la produzione dell’ormai raro Ostuni Bianco DOC. Il franavilla, coltivato in pochi ettari, deve probabilmente il nome alle sue origini nei pressi di Francavilla Fontana, mentre l’impigno sarebbe stato portato a Ostuni da un agricoltore con questo soprannome.

Vini di maggiore complessità e struttura si ottengono nella IGP Salento in provincia di Brindisi, da malvasia bianca, fiano, minutolo, vermentino, chardonnay e sauvignon, oltre che alcuni tra i passiti migliori della regione da aleatico, negroamaro, malvasia nera e bianca, chardonnay, sauvignon, sémillon e riesling.

Ottimo il Salice Salentino Aleatico Dolce DOC, da provare con uno strudel di ciliegie, in un abbinamento che abbraccia tutta la penisola.

Nel Basso Salento, in provincia di Lecce, il negroamaro domina incontrastato e dà vini rossi e rosati molto apprezzati in diverse denominazioni storiche, come per esempio Alezio, Galatina, Copertino e Matino, e nelle IGP Salento e Puglia; malvasia nera, primitivo, montepulciano, sangiovese e aleatico svolgono un ruolo complementare ma altrettanto importante. I vini bianchi, gradevoli e di bella struttura, sono ottenuti principalmente da malvasia bianca, fiano, chardonnay e sauvignon.

Vitigni

Il vigneto pugliese occupa 86.711 ettari e si distribuisce soprattutto in pianura (70%) e in collina (29.5%).

Recentemente la produzione di vino mostra un leggero, progressivo calo e nel 2013 è stata di circa 4.965.000 ettolitri di vino, DOP per il 4.9% e IGP per il 22.4%, 2/3 dei quali rossi e rosati ottenuti soprattutto da negroamaro, primitivo e uva di Troia. Tuttavia, nell’ultimo decennio i vini bianchi hanno guadagnato terreno, in particolare quelli prodotti da verdeca, bombino bianco, bianco d’Alessano, malvasia bianca, fiano, minutolo e chardonnay.

Negli ultimi anni si stanno diffondendo i sistemi di allevamento a spalliera, anche se nel Salento e in piccole aree del Barese resiste l’alberello e nella zona centro-settentrionale il tendone.

Il negroamaro (18.5%), forse portato in Puglia dagli antichi Greci, è il vitigno a bacca nera che domina le vigne pugliesi, soprattutto nelle province di Brindisi e Lecce. Il nome deriverebbe dal latino niger e dal greco mavros, con un unico significato, il colore nero della buccia dell’uva e del vino che ne deriva, oppure, piu verosimilmente, da niuru maru che in dialetto indica il colore nero degli acini e il finale amarognolo del vino. Le uve maturano tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, e danno vini rossi dai colori intensi, con profumi di rosa, amarena, prugna, liquirizia e tabacco, a volte accompagnati da toni speziati e balsamici. Morbidi ma austeri, sono sostenuti da un tannino di bella eleganza, che dona un piacevole finale appena amarognolo. I rosati sono molto apprezzati per le stupende tonalità rosa corallo e per i fini sentori di rosa e oleandro, melagrana e frutti a bacca rossa, rabarbaro e macchia mediterranea, oltre che per il corpo e l’equilibrio.

Il sangiovese (17.5%) è molto diffuso in tutte le aree della Puglia, ma dà vini generalmente di scarso rilievo qualitativo.

Forse originario dell’Ungheria e documentato di recente sulla costa dalmata e nel Montenegro, il primitivo (10.2%) fu portato probabilmente in Puglia dai profughi slavi tra il XV e il XVI secolo. Alla fine del ‘700 è stato selezionato e coltivato in monocoltura a Gioia del Colle e così denominato per la precocità della maturazione delle uve, che avviene tra la fine di agosto e le prime settimane di settembre. La vite del primitivo è particolare perché, un mese dopo la vendemmia dei grappoli principali, consente una seconda raccolta di grappoli detti racemi, pari al 20-30% della produzione che maturano sui tralci secondari, chiamati femminellevreccole. All’inizio degli anni ’90 la scoperta della strettissima parentela con lo zinfandel accese i riflettori sul primitivo e portò a una vera e propria riscoperta, che determino una successiva riduzione della produzione di vini da taglio e da vendere sfusi a vantaggio di vini sempre più interessanti. Coltivato soprattutto nel Tarantino e nel Barese, dove acquisisce finezza, equilibrio e ottima struttura, cresce bene anche nelle province di Brindisi e di Lecce, più famose per il negroamaro. I vini ottenuti da primitivo si presentano con un profondo colore purpureo, che nel tempo può sfumare in tutte le tonalità fino all’aranciato; il profilo attivo e dominato da spiccati sentori di ciliegia e prugna, amarena e mora, con ricordi di futta secca e sotto spirito e note speziate, tostate e balsamiche dopo evoluzione, quando i tannini, mai invadenti, diventano ancora più vellutati.

Il vino che si ricava dai racemi, rosso o rosato, è invece di pronta beva, più rustico e fresco, ma dotato di minore struttura e componente alcolica.

Il montepulciano (9.1%) fu introdotto in Abruzzo all’inizio dell’800, per approdare nel secolo successivo in provincia di Foggia e poi nelle altre zone. Utilizzato tradizionalmente per stemperare l’irruenza tannica dell’uva di Troia e del negroamaro, è talvolta impiegato in purezza specialmente nell’area centro-settentrionale della Puglia, dove dà vini di colore molto intenso, con profumi di amarena e ciliegia, anche in confettura, seguiti da cenni di cuoio e spezie dolci.

Un altro vitigno a bacca nera sul quale oggi si punta molto è l’uva di Troia (2.1%), chiamata inizialmente uva di Canosa, cosi denominata dal 1875, probabilmente per richiamare la leggenda di Diomede, eroe della guerra di Troia e fondatore di molte città dell’Apulia, che avrebbe portato con sé le marze del vitigno dalla terra di origine. Ma gli studiosi non escludono che questa varietà discenda da un’antica uva locale o abbia un’origine balcanica.
A maturazione tardiva, l’uva di Troia era un tempo destinata alla produzione di vini da taglio, mentre nell’ultimo decennio i miglioramenti in vigna e in cantina permettono di vinificarla in purezza o in studiati assemblaggi per ottenere vini piacevoli e originali, con profumi intensi di viola e mirtillo, mora di rovo e di gelso, che negli anni si arricchiscono di note di confettura di ciliegia, tabacco e spezie. Delicatamente freschi e con importanti nota alcolica e tannicità, questi vini sono domati dal taglio con il montepulciano e dal passaggio in barrique.

La malvasia nera (1.8%), conosciuta nelle varietà di Lecce e di Brindisi, è delicatamente aromatica, entra in molti blend con il negroamaro, ma è anche vinificata in purezza e offre vini di pronta beva e deliziosamente profumati di melagrana e lampone.

Nell’area di Castel del Monte si coltiva il bombino nero (1%), varietà particolarmente adatta alla produzione di vini rosati fragranti, freschi e sapidi.

Soprattutto nei territori murgiani si produce l’aglianico (0.3%), che dà vini interessanti e più simili a quelli del Vulture piuttosto che a quelli campani.
Merlot, cabernet sauvignon, syrah, pinot nero, cabernet franc e malbech hanno una discreta diffusione e sono per lo più utilizzati in tagli come vitigni migliorativi.

Rosati di Puglia
Il clima caldo per gran parte dell’anno e la presenza di una cucina di terra e di mare ricca di piatti gustosissimi ma non troppo strutturati, favoriscono in Puglia la richiesta e l’apprezzamento dei vini rosati. Furono probabilmente i coloni greci a insegnare ai contadini salentini come ottenere questi vini con il sistema a lacrima, sottoponendo a una delicata pigiatura le uve nere raccolte in sacchi, in modo da farle lacrimare e da raccogliere il mosto fiore, senza tenerlo ulteriormente a contatto con le bucce.

Intorno alla metà dell’800, alcune aziende di Ruvo, nell’area di Castel del Monte, iniziarono a produrre questi vini su scala industriale e a esportarli, utilizzando l’uva di Troia e il bombino nero. Il primo storico imbottigliamento di vino rosato da negroamaro e malvasia nera avvenne però a Salice Salentino nel 1943. Attualmente si producono vini rosati estremamente diversificati in tutte le province pugliesi, che sorprendono per la bellezza dei colori, che sfumano tra tonalità cerasuolo e corallo, a volte più intense e violacee o con nuance salmone, per la fragranza e la finezza dei profumi di fragolina di bosco e melagrana, lampone e ciliegia, rosa e oleandro, peonia, macchia mediterranea e rabarbaro, per il gusto pieno, equilibrato e capace di coniugare freschezza e sapidità con un’adeguata dotazione alcolica.

Raramente i vini rosati pugliesi riposano in legno, con qualche interessante eccezione a base di negroamaro o di primitivo, che esprime particolare complessità e notevole struttura.

Il negroamaro, a volte con un limitato apporto di malvasia nera di Brindisi e/o di Lecce, sangiovese, montepulciano, susumaniello o aglianico, può dare risultati impareggiabili; alcuni vini delle denominazioni Alezio, Brindisi, Leverano, Salice Salentino e Salento IGP sono dei veri e propri classici, i più ricchi di struttura e complessità. A tavola, questi vini possono essere abbinati con prosciutto e fichi e con parmigiana di melanzane, ma anche con cibi tradizionali come cozze gratinate e scamorza affumicata, capocollo e soppressata, ciceri e tria e cavatelli al sugo di funghi cardoncelli.

Nella Murgia settentrionale, che fa capo a Castel del Monte, da bombino nero si ottengono vini rosati un po’ più snelli ma di esemplare eleganza. Questo vitigno è molto adatto per la produzione di vini rosati, perché ha una buccia sottilissima e povera di sostanze coloranti e una polpa ricca di succo e poco reticolata, per cui la semplice sgrondatura delle uve pigiate consente di ottenere un mosto fiore delicatamente colorato.
Inoltre, la presenza di alcuni acini verdi nei grappoli maturi, favorisce il mantenimento di un’elevata acidità, che si traduce in una piacevole freschezza. Il vino di maggiore prestigio è il Castel del Monte Bombino Nero DOCG, ottimo come aperitivo e in abbinamento con bruschette, panzerottini e fagottini al formaggio.

Interessanti, ma da caratterizzare ulteriormente, sono i vini rosati ottenuti da montepulciano e uva di Troia nel Barese settentrionale e nel Foggiano, cosi come nel Tarantino e nella Murgia barese sono in espansione le positive esperienze a base di primitivo. Versatile per eccellenza, il rosato toglie spesso l’imbarazzo della scelta del vino più adatto per accompagnare l’intero pasto.

Il recupero di varietà autoctone, l’inserimento di vitigni internazionali e il perfezionamento delle tecniche in vigna e in cantina hanno portato a una crescita qualitativa dei vini bianchi pugliesi.

Molto diffuso in tutte le province pugliesi, ma di limitato rilievo qualitativo è il trebbiano toscano (12.3%).

Diversi cloni di malvasia bianca (3.6%), come la malvasia bianca di Candia, la malvasia bianca lunga e alcuni antichi biotipi locali, danno vini secchi e dolci delicatamente aromatici e di buona struttura, a volte sottoposti a un breve periodo di maturazione in barrique.

La verdeca (2.1%), coltivata da secoli in Valle d’Itria, nel Salento, nel Tarantino e nel Barese, offre vini semplici, freschi e con caratteristici riflessi verdolini, come si può intuire dal nome.

Il bombino bianco (1.1%), detto anche buonvino per la produzione abbondante, è diffuso particolarmente nel Foggiano e nella parte centro-settentrionale del Barese.
Tradizionalmente utilizzato in uvaggi, oggi è sempre più spesso vinificato in purezza e, grazie alle spiccate doti di freschezza e sapidità, si esprime con piacevole finezza, soprattutto se spumantizzato con il metodo Classico.

Il pampanuto (0.4%) dona struttura e profumi fruttati ai vini bianchi della zona di Castel del Monte, ottenuti di solito assemblando diverse varietà.

La presenza del bianco d’Alessano (0.2%) nella Valle d’Itria è documentata già a partire dal 1870. Vinificato quasi esclusivamente in uvaggio, spesso con verdeca e minutolo, offre profumi fruttati, ottima struttura e sorprendente capacità di evoluzione.

Di origine campana ma coltivati in Puglia da secoli, il fiano e il greco si stanno diffondendo con risultati lusinghieri in alcuni vini IGP, ai quali offrono profumi fini, struttura e ottima freschezza, che li rendono adatti anche alla spumantizzazione con il metodo Martinotti.

Il minutolo o moscatellina è interessante per la finezza e la varietà dei profumi e per la ricca struttura, doti grazie alle quali si è diffuso con successo in diverse zone delle province di Bari, di Taranto c dell’area salentina. Attestato già nella seconda metà dell’800 a Bitonto come minutola, è stato recentemente riscoperto nella Valle d’Itria e inizialmente chiamato fiano aromatico per le particolari note di litchi, bergamotto, pescanoce, camomilla, biancospino e altri fiori bianchi su sfondo delicatamente muschiato, oppure fiano minutolo per gli acini piccoli ei grappoli spargoli. Recenti analisi genetiche hanno dimostrato che non ha nulla a che fare con il fiano vero e proprio, risultando più vicino al moscatello selvatico e per questo rinominato minutolo o moscotellina.

Un’altra varietà di origine campana è la falanghina, che si coltiva su piccola scala in alcune zone del sub-appennino dauno e della Murgia barese dove, in purezza o in uvaggi, dà vini freschie delicati. Il nome curioso deriva dall’esigenza della vite, dato il portamento espanso, di essere sorretta da pali detti falanghe.

Vini di buona fattura si ottengono anche da chardonnay, sauvignon, pinot bianco e viognier, sia in purezza sia in uvaggio.

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