Lazio

Le Origini

L’ombra imponente della capitale, Roma, si allunga su tutto il territorio del Lazio, uno scrigno di emozioni che spaziano dalle bellezze paesaggistiche ai siti archeologici, dai luoghi d’arte alle seduzioni della cucina e della tradizione vinicola, che riporta all’immagine delle ‘fraschette’ dei Castelli Romani, simbolo di gioviale convivialità ma anche di vini non sempre di pregio.
Radici enologiche risalenti agli Etruschi, giunti dall’Asia Minore intorno all’800 a.C., non hanno infatti garantito, per anni, una produzione di qualità. Questa situazione si è riproposta anche dopo l’epidemia fillosserica dei primi del ‘900, quando i produttori hanno puntato sulle uve più produttive, con l’elaborazione di vini poco fedeli al terroir.

A partire dagli anni ’90 l’enologia laziale ha fatto l’atteso salto di qualità, grazie alla riqualificazione della piattaforma ampelografica e alla riduzione delle rese, favorito anche dall’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura) che nel 1995 ha iniziato a recuperare i biotipi delle varietà locali più adattabili all’ambiente e più idonei a coltivazioni non esasperate, sensibilizzando i viticoltori a ridurre l’uso di concimi e antiparassitari chimici.

La produzione attuale si concentra soprattutto sui vitigni tradizionali a bacca bianca, su tutti il trebbiano toscano, vinificati prevalentemente in acciaio, ma molti produttori si sono orientati verso varietà internazionali, che di recente hanno dato vita a interessanti IGP. Inoltre, la produzione di vino rosso è in crescita, con una importante impennata qualitativa.

Oltre alle novità nel vigneto, gli imprenditori hanno intrapreso mirate strategie di marketing, dotando le cantine di spazi per l’accoglienza degli enoturisti e sono state istituite, per esempio, la Strada del Vino Cesanese e la Strada del Vino dell’Alta Tuscia, che consentono agli appassionati di avvicinarsi al patrimonio enologico e alla storia, alla cultura e alla gastronomia locali.

I vini laziali si sposano alla perfezione con la cucina regionale, in cui si leggono influenze della tradizione contadina, che sfrutta soprattutto trippa, animelle, fegato, cuore e coda.

Se i bucatini cacio e pepe, le fettuccine alla papalina e i saltimbocca alla romana si abbinano bene con un bicchiere di Frascati, la trippa e la coda alla vaccinara sono da provare con il Nero Buono di Cori, mentre l’abbuoto, tipico piatto ciociaro a base di interiora di agnello, è perfetto con un bicchiere di Cesanese di Affile.

I vini di Velletri e dei Colli Lanuvini esaltano il baccalà mollicato e il trebbiano toscano dei Colli Etruschi Viterbesi il baccalà in guazzetto e i carciofi alla matticella, mentre il pecorino fresco e la vignarola, preparata con carciofi, piselli e fave, sono ottimi con un Bellone del Basso Lazio.

Per un momento dolcissimo, l’Aleatico di Gradoli è perfetto con le castagnole alla sambuca, i pizzicotti e le spumine di San Biagio, mentre con un sorso di Cannellino di Frascati non possono mancare i tozzetti e la pupazza frascatana, biscotto a base di farina e miele.

Il clima ed il territorio

Il territorio del Lazio è occupato soprattutto da colline (54%) e da montagne (26%), mentre alle pianure resta il 20%.

Lungo la costa il clima è mediterraneo, con inverni miti ed estati rinfrescate dai venti marini, e consente la perfetta maturazione delle uve nei Colli Albani,e nel tratto tra Nettuno e Terracina. Verso l’interno diventa continentale, con forti escursioni termiche diurne e stagionali, ma i laghi svolgono una funzione di volano termico, creano microclimi eterogenei e favoriscono la produzione di frutti e olive, come sulle colline intorno al Lago di Bracciano.
Alcune zone dei Castelli Romani risentono della presenza dei laghi e della vicinanza del Mar Tirreno, e i filari sul versante occidentale dei Colli Albani sono lambiti dal famoso ponentino. I Colli Albani, grazie al tufo friabile ricco di potassio e fosforo, simile a quello di Frascati, offrono vini di spiccata mineralità, ottenuti soprattutto dai vitigni tradizionali a bacca bianca.

Le colline sono in gran parte di origine vulcanica ed i numerosi piccoli laghi, crateri di vulcani ormai spenti, ne sono l’evidente testimonianza. Il terreno è quindi soprattutto lavico, ma la composizione, la tessitura e la struttura variano molto da zona a zona. Un esempio? Nei terreni ricchi di scheletro e di tufo che circondano il Lago di Bolsena ha trovato il suo habitat ottimale il canaiolo nero, che deve a questo suolo la sua ricchezza odorosa e la buona acidità.

Maremma Laziale, Agro Romano e Agro Pontino occupano il 20% del territorio, soprattutto lungo la costa, e presentano una buona predisposizione per la produzione di uve da vino e da tavola. In particolare, nel litorale di Cerveteri, i terreni argilloso-calcarei con residui alluvionali provenienti dalle vicine alture vulcaniche della Tolfa, offrono ai vini un buon corredo aromatico e struttura.

Nei Colli Romani, i terreni vulcanici con sedimenti arenacei, argillosi e marnosi, danno ai vini colori vivaci, profumi intensi e variegati, freschezza e una buona struttura.

Gli ultimi banchi tufacei dei Colli Albani emergono tra Cisterna e Ninfa, sostituiti verso sud da formazioni di travertino, fino all’area un temp0 occupata dalle paludi pontine. Dopo la bonifica, iniziata nel 1926 e durata 11 anni, questa zona è una vasta pianura con terreni sabbiosi e argillosi, molto permeabili e ricchi di minerali, soprattutto silicio, nei quali trebbiano toscano e chardonnay, merlot e sangiovese danno buoni risultati, tra uliveti, piante di eucalipto e di kiwi.

Zone vitivinicole

Il lazio vitivinicolo può essere suddiviso in quattro zone principali: la Vulsinia, i Castelli Romani, la Ciociaria e l’Agro Pontino.

Appena superato il confine con la Toscana, la Vulsinia comprende i Monti Volsini e il Lago di Bolsena, sui cui pendii dimorano i filari delle malvasie e dei trebbiani.
Nei comuni di Montefiascone, Bolsena, San Lorenzo Nuovo e Grotte di Castro è prodotto l’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone DOC, ottenuto da trebbiano toscano e giallo, malvasia bianca lunga e del Lazio. L’originalità del nome deriva da un famoso aneddoto.
Nel 1111 il Vescovo tedesco Johannes Defuk era in viaggio per Roma al seguito dell’Imperatore Enrico V di Germania, che doveva ricevere la corona del Sacro Romano Impero da Papa Pasquale II. Grande intenditore di vini, Defuk si faceva precedere dal suo servitore Martino, affinché gli segnalasse i vini migliori dei territori che attraversavano, scrivendo “Est” (C’è) sulla porta delle osterie; a Montefiascone, Martino apprezzò talmente il vino locale da scrivere per ben tre volte la parola concordata. Dal 2009 è stata istituita anche la sottozona Classico e solo di recente questo vino sta vivendo una fase di rilancio, grazie a profumi di mela, susina e biancospino, con sapidità, morbidezza e uno stuzzicante finale di mandorla amara, che lo rendono perfetto con un’insalata di polpo, patate e olive, condita con qualche goccia di olio extra vergine Canino DOP.

Gradoli è rinomato per l’omonima denominazione del dolce Aleatico, anche liquoroso, una chicca profumata di rose rosse, frutti di bosco e spezie dolci, su uno sfondo muschiato e tostato, con dolcezza calibrata e media struttura. Un vino perfetto con dei dolcetti con crema ai frutti di bosco e cioccolato.

Più a est, al confine con l’Umbria, si estendono i vigneti di grechetto, trebbiano toscano, merlot, sangiovese e ciliegiolo.

La denominazione interregionale Orvieto prevede solo vitigni a bacca bianca, grechetto, trebbiano toscano, verdello, canaiolo bianco e malvasia da cui si ricava un vino piacevole e fresco, oltre a eccellenti vendemmia tardiva con attacco della muffa nobile, profumate e dolci, morbide e molto persistenti, perfette con foie gras con salsa alla frutta.

Nella Maremma laziale e nella Tuscia si trovano i vini rientranti nella denominazione Colli Etruschi Viterbesi, a base di trebbiano toscano, rossetto, moscatello, grechetto bianco e rosso, canaiolo, sangiovese, merlot e montepulciano, noto in questa zona come violone, freschi e di pronta beva, con alcune eccezioni per i

rossi, soprattutto a base di merlot. Nei comuni di Marta, Capodimonte e Tuscania, con il canaiolo si produce il vino Cannaiola, con intensi profumi di peonie, more di rovo e ribes nero, abboccato e con tannini sottili, perfetto con le pizzette dolci fritte e le ciambelline offerte in agosto durante la Festa della Cannaiola.

Vigne fiorenti accompagnano il corso del Tevere: a est dei Monti Cimini e del Lago di Vico e a ovest del Tevere si trovano i vigneti della denominazione Vignanello, con vini vivaci e di media struttura, soprattutto a base di uvaggi di trebbiani e malvasie per il Bianco, sangiovese e ciliegiolo per il Rosato e il Rosso; solo il Greco è prodotto in purezza.

Superato il fiume, si arriva nella Sabina, in provincia di Rieti, patria di vini freschi e profumati a base di malvasia di Candia e del Lazio, trebbiano toscano e giallo, montepulciano e sangiovese, ma soprattutto dell’olio extra vergine Sabina DOP, ottenuto dalle cultivar carboncella, raja, leccino, frantoio, olivastrone, moraiolo, salviana, rosciola e olivago, fruttato e leggermente piccante, perfetto a crudo su una deliziosa zuppa di orzo, ceci e farro.

La fascia costiera tra Cerveteri e Fiumicino ha un’antica vocazione enologica e ancora oggi vanta un ampio patrimonio ampelografico; in particolare, nella denominaione Cerveteri sono prodotti numerosi vini bianchi, ottenuti in purezza o in uvaggio da trebbiano, bellone, verdicchio e altre varietả, con aromi delicati e moderata alcolicità.

Nei vini rossi, oltre a sangiovese, montepulciano e cesanese, si possono trovare piccole quantità di canaiolo, carignano e barbera, che danno vini fruttati e mediamente strutturati, da provare con tagliatelle al ragù.

A sud-est di Roma si trovano i Castelli Romani, la zona vitivinicola più importante per quantità prodotte, qualità in crescita e numero di denominazioni.

Da sempre, questa zona è identificata con il Bianco di Marino, che sgorga dalla Fontana dei Quattro Mori durante la Sagra dell’uva, ottenuto da vigne esposte a ovest con ottima insolazione e lambite dalle brezze marine, e con il dolce Cannellino di Frascati DOCG, prodotto con uve raccolte in vendemmia tardiva, profumato di fiori gialli e frutta matura, dolce e vellutato.

La denominazione Marino prevede l’unico Bombino bianco in purezza, con delicati sentori di fiori bianchi e frutti freschi, di media struttura e vivace freschezza.

Negli ultimi anni la qualità della produzione enologica di tutto l’areale è notevolmente aumentata, grazie anche alla mineralità dei vini delle denominazioni Zagarolo e Frascati. Nonostante nell’immaginario di molte persone il Frascati resti il vino da consumare nelle trattorie dei Castelli Romani durante un’allegra gita fuori porta, nel 2011 ha conquistato il riconoscimento DOCG nella versione Superiore e Cannellino, grazie a un disciplinare più rigoroso riguardo le rese, a sistemi di allevamento meno produttivi e all’aumento della percentuale di malvasia del Lazio, che offre maggiore qualità. Molti produttori ne arricchiscono il profilo organolettico attraverso la macerazione sulle bucce e ottengono un vino più complesso ed elegante, indicato con un’insalata di cubetti di pollo arrostiti e melagrana.

Nel distretto dei Castelli Romani dominano le malvasie di Candia e del Lazio, i trebbiani toscano e giallo, il bellone, il bombino e il greco bianco. Tra i vitigni a bacca nera, che mostrano un trend in crescita quantitativa e qualitativa, spiccano il sangiovese, il montepulciano, il merlot, il bombino nero e il ciliegiolo, soprattutto nelle denominazioni Velletri e Genazzano, nelle quali esprimono vini intensi, anche sottoposti a evoluzione in legno. Caldi e dotati di media tannicità, sono perfetti con una succulenta tagliata di manzo con qualche goccia di prezioso Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia.

Una visita al Museo del Vino di Monte Porzio Catone, istituito nel 1999, offre un quadro completo della realtà enologica dei Castelli Romani, con antichi utensili e macchinari per la lavorazione della vigna e la trasformazione delle uve.

Verso Frosinone, nella Valle del Sacco racchiusa tra i Monti Lepini e i Monti Simbruini, argilla, calcare e composti lavici offrono ai vini rossi a base di cesanese comune e di Affile struttura, mineralità e buona predisposizione all’evoluzione.

In Ciociaria trovano spazio anche sangiovese, montepulciano e barbera, ma già nel ‘700 lo Statuto Municipale di Affile prevedeva pene severissime a chiunque avesse avuto l’ardire di recare danno alle vigne, sia per mano d’uomo che per tramite di bestiami.

Le principali zone di produzione corrispondono ad altrettante denominazioni: Cesanese del Piglio, DOCG dal 2008, Cesanese di Affile e Cesanese di Olevano Romano.

La Ciociaria è rinomata anche per l’olio extra vergine ricavato dalla cultivar rosciola, quasi assente nel resto dell’Italia Centrale, e per gustose specialità come il pecorino di Picinisco DOP e le salcicce di Filettino, perfette con i vini locali.

Nell’Agro Pontino le vigne esistevano già ai tempi degli antichi Romani, tanto che Orazio citava l’allora famoso Cecubo, amato anche da Plinio il Vecchio soprattutto quello prodotto ad Amyclae, vicino a Sperlonga, dove le viti erano maritate ai pioppi e originario dell’ager caecubus, che si estendeva dall’attuale Formia fino a Fondi e Terracina. Dopo la bonifica della palude, l’intera area pontina ha vissuto una rinascita enologica che ha spinto i vigneti fino ad Aprilia; attualmente, grazie ai 5300 ettari di superficie vitata, é la seconda zona produttiva dopo la provincia di Roma. Il sistema di allevamento più utilizzato è ancora il tendone, ma negli ultimi anni si stanno diffondendo guyot e cordone speronato per la coltivazione di chardonnay, syrah, merlot e petit verdot, destinati soprattutto alla produzione di alcuni vini interessanti dell’IGP Lazio, per la quale la provincia di Latina ha il primato regionale. I vini sono profumati e dotati di buona concentrazione, a volte con una buona predisposizione per un lungo invecchiamento. E per celebrare il felice connubio tra vino, cibo e territorio, nel 2010 è stata istituita la suggestiva Strada del Vino della Provincia di Latina, la più lunga, che da Cori, dove si produce un ottimo Nero buono, si articola fino al Circeo.

Vitigni

La superficie vitata è di circa 23.535 ettari, concentrati per quasi la metà nella provincia di Roma. Nel 2013 la produzione è stata di circa 1.552.000 ettolitri di vino, il 31% DOP e il 19.8% IGP ottenuti soprattutto da vitigni a bacca bianca, che occupano oltre il 76% del vigneto.

 

Trebbiano toscano, malvasia bianca di Candia e malvasia del Lazio sono elaborati molto spesso in accialo, anche se non mancano casi di leggeri passaggi in legno. Il sistema di allevamento della vite è tradizionalmente il tendone, una forma molto espansa e produttiva, ma l’inversione di tendenza in vigna ha portato a una sua progressiva sostituzione con guyot e cordone speronato. In alcune zone dei Castelli Romani e del Basso Lazio si trovano ancora le tipiche viti maritate agli alberi o alle canne intrecciate, dette conocchie.
L’ampia base ampelografica laziale si è arricchita di recente con la riscoperta di vitigni autoctoni come angelica, albarosa, cesanese di Castelfranco e nerone.

Trebbiano toscano e malvasia bianca di Candia occupano il 60% del vigneto laziale.

Il trebbiano toscano (32%) o procanico, grazie a doti di adattabilità, vigoria e produttività, è il vitigno più diffuso, vendemmiato generalmente verso la metà di settembre, e dà vini profumati di fiori di campo e frutta a polpa gialla, morbidi ed equilibrati.

Dalla malvasia bianca di Candia (28%) si ottiene un vino di buona aromaticità, floreale e agrumato, sapido e con un finale ammandorlato. Malvasia bianca di Candia e trebbiano toscano, con una minore percentuale di malvasia del Lazio e di greco, formano l’uvaggio del famoso Frascati.

La malvasia del Lazio (3%), malvasia puntinata, gentile o nostrale, è oggetto di una certa rivalutazione. A causa della grande sensibilità a diverse malattie della vite, aveva perso terreno a favore della malvasia bianca di Candia, più resistente e produttiva ma di qualità decisamente inferiore. Oggi, vinificata in purezza, regala al vino aromi intensi di magnolia e albicocche, mele e gesso, una buona dotazione alcolica e una particolare sapidità.

Coltivato principalmente nella zona di Nettuno, dove è chiamato cacchione, e in provincia di Latina, il bellone (2.3%) dà un vino profumato di pesche gialle, nespole, pompelmo, miele e frutta secca, fresco, sapido e da gustare in gioventú. Citato da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia come

uva pantastico tutta sugo e mosto

è soprannominato anche uva pane, in quanto i contadini ne mangiavano i chicchi con il pane.

Nel Lazio meridionale spicca il moscato di Terracina, originario del Medio Oriente e portato sulle rive del Mare Mediterraneo dai coloni greci provenienti da Samos e dalle coste della Jonia. Secco, amabile, passito e spumante, svela la sua matrice aromatica con sentori di rose e pesca bianca, muschio e salvia, oltre a una buona persistenza gusto-olfattiva.

Sempre in provincia di Roma si trova il bombino bianco, detto ottonese nella zona di Tivoli, già citato nel 1825 da Giuseppe Acerbi nell’opuscolo Delle viti italiane come una tra le specie più coltivate in queste zone. Spesso impiegato in uvaggi, offre profumi delicati e discreta freschezza. Diffuso anche in altre regioni, è un vitigno molto produttivo e, non a caso, in Romagna è chiamato pagadebit.

Il greco è allevato soprattutto in provincia di Viterbo ed è utilizzato per produrre l’omonimo vino bianco, secco o spumante, dal bouquet delicato e dal gusto lievemente ammandorlato.

Sulle dolci colline ciociare si trova la passerina, che dà il più rinomato dei vini bianchi locali, l’IGP Passerina del Frusinate, profumato di fiori di sambuco, mela verde e paglia, dotato di ottima freschezza.

Chardonnay e sauvignon blanc, pinot bianco e pinot grigio, riesling renano e riesling italico, vinificati soprattutto in purezza, esprimono solo in alcuni casi le loro doti migliori.

Le uve a bacca nera più coltivate sono merlot, sangiovese e montepulciano, anche se il cesanese comune e di Affile sono i simboli del vigneto laziale, con piccole quantità di aglianico, alicante, barbera, bombino nero, carignano, grechetto rosso, greco nero, olivella nera, primitivo e sciascinoso.

Merlot (6%), cabernet sauvignon, cabernet franc e syrah sono diffusi in quasi tutto il territorio e si esprimono al meglio, cosi come lo chardonnay, in ottime IGP.

Alcuni Syrah del Basso Lazio, liberano sentori di tabacco, liquirizia e spezie, con buon corpo e morbidezza, i Merlot della Tuscia, strutturati ed eleganti, offrono profumi di frutti rossi maturi, spezie dolci e cacao, e qualche taglio bordolese di notevole pregio è prodotto nella zona dei Castelli Romani.

Sangiovese (5.5%) e montepulciano (3.4%), pur essendo discretamente diffusi, non danno vini particolarmente significativi sotto il profilo qualitativo.

Pur coprendo solo l’1.5% della superficie vitata, il cesanese, comune e di Affile, è la varietà che identifica il vigneto regionale. Vitigno produttivo e con maturazione medio-tardiva, è localizzato soprattutto nella provincia di Frosinone e solo dai primi anni del XXI secolo ha conosciuto un graduale processo di crescita qualitativa, che ha portato alla produzione di vini con sfumature di frutti rossi maturie spezie, tabacco e cuoio, di corpo, morbidi e con un’ottima componente alcolica.

Diffuso soprattutto in provincia di Latina, il nero buono dà vini interessanti, in uvaggio o in purezza e con calibrati passaggi in legno, dotati di un bel colore rubino, note di frutti di bosco e alloro, noce moscata e china, vivaci, sapidie con un finale di marasca e pepe.

Il canaiolo nero alligna egregiamente sui Colli Viterbesi, dove dà un vino rosso rubino intenso, profumato di ciliegie e bacche selvatiche, di buona struttura e con un finale appena amarognolo.

Originario della Grecia e adottato dagli Etruschi, l’aleatico si esprime al meglio sulle pendici dei Monti Volsini, dove dà il dolce Aleatico di Gradoli, profumato di frutti e fiori rossi, muschio ed erbe aromatiche.

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