Sardegna

Le Origini

Strapiombi spettacolari e rocce granitiche levigate dal vento, litorali sabbiosi e cale abbracciate dalla macchia mediterranea: un paesaggio che offre scorci mozzafiato, un’atmosfera fiera e tenace come i suoi abitanti, isolata come questa terra meravigliosa, che in estate, nelle località più esclusive, si anima di personaggi del jet set internazionale.

Una storia lunga, quella del vino di Sardegna, isola al centro del Mare Mediterraneo e confluenza di numerose culture, che inizia all’epoca dei nuraghi, 1800 a.C. circa, e delle necropoli puniche, ed ė attraversata dalle influenze e dall’introduzione di nuovi vitigni da parte di Fenici, Romani e monaci bizantini, artefici di una grande rinascita dopo le devastazioni vandaliche seguite alla caduta dell’Impero Romano, oltre che degli Spagnoli in epoca successiva, nel XIV secolo.
La nascita del regno sardo-piemontese favorì la coltivazione della vite e, alla fine del XIX Secolo, i vini sardi conquistavano lusinghieri riconoscimenti internazionali. L’arrivo della fillossera tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 bloccó bruscamente questo sviluppo.

La ricostruzione del vigneto fu lenta, sostenuta dall’attività di numerose cantine sociali, e raggiunse l’apice negli anni ’70, quando la produzione raggiunse i 3.000.000 di ettolitri di vino, anche se quasi la metà era da taglio e destinato all’esportazione. La successiva crisi del comparto, associata agli incentivi comunitari per l’espianto, ha indotto molti produttori a ridurre drasticamente la superficie vitata e la produzione vinicola, situazione che ha determinato la crescita qualitativa della viticoltura. Tutto questo ha portato all’attuale variegata produzione enologica, felice incontro tra uve tradizionali e internazionali, che negli ultimi anni si sono ritagliate uno spazio interessante nel vigneto sardo e offrono ai vini bianchi un profilo odoroso più ampio e ai rossi una migliore dotazione polifenolica.

Lunghi periodi di naturale isolamento hanno inoltre consentito la fissazione di particolari qualità genetiche nei vitigni tradizionali e l’individuazione di apprezzate doti sensoriali dei vini del territorio. Cannonau, carignano, malvasia, vermentino e moscato danno vini chiaramente diversi da quelli ottenuti in altri paesi da vitigni geneticamente affini, mentre nuragus, nasco, semidano, bovale, monica, nieddera, cagnulari, girò e vernaccia di Oristano sono un patrimonio esclusivo della Sardegna. Da queste uve si continuano a produrre vini rispettosi della tradizione ma anche interpretazioni più moderne e orientate al mercato internazionale, grazie al controllo delle temperature di vinificazione che permettono una migliore espressione delle potenzialità aromatiche e, soprattutto nel caso dei rossi, all’attento uso della barrique, capace di arricchire in eleganza e longevità anche i vini più tradizionali.

La gastronomia della Sardegna è la naturale espressione di una storia di agricoltura e pastorizia, contaminata dalla cultura spagnola con influenze nordafricane, toscane e piemontesi, e insaporita da aglio, prezzemolo, pomodoro secco, basilico, alloro, finocchio selvatico, menta, mirto, timo e zafferano.
Pane carasau e altri tipi di pane sono la base di piatti unici come pane frattau, pane a fittas e suppa cuata gallurese da affiancare a un Vermentino di Gallura di spiccata mineralità. Fregula, malloreddus, maccarrones de busa, lorighittas e culurgiones sono paste secche, fresche e ripiene, che se condite con un succulento ragú si possono abbinare con un fresco Cannonau di Sardegna Rosato.
I tradizionali maialetto, capretto e agnello di Sardegna si possono gustare cotti arrosto a fuoco vivo oppure in umido can olive, carciofi e finocchio selvatico, perfetti in abbinamento con un Cannonau di Sardegna, cosi come la pecora bollita. Un contributo particolare è dato dalle frattaglie, preparate sotto forma di cordula, intestino tenue intrecciato intorno agli stomaci tagliati a fettucce, trottalia, cuore, fegato e polmoni allo spiedo o in tegame e zurrette, un sanguinaccio aggiunto di pane, formaggio e menta cotto all’interno del rumine, da provare con un giovane Monica di Sardegna o Mandrolisai.

La cucina sarda è spesso più di terra che di mare, ma non mancano specialità a base di aragosta e pesci pregiati preparati con cotture semplici, ríservando le preparazioni più elaborate al meno nobile muggine di grande pezzatura, preparato in merca, cioè bollito e avvolto nell’obione, un’erba palustre. I famosi spaghetti con la bottarga uova di muggine o tonno essiccate e salate, sono un po’ complicati da abbinare, ma si possono provare con una Vernaccia di Oristano giovane.

Tra i prodotti caseari a base di latte ovino spiccano il pecorino sardo e il fiore sardo, da provare, secondo la stagionatura, con un bicchiere di Vermentino di Sardegna o di un Carignano del Sulcis giovane.

I dolci legati alle festività pasquali, come casadinas e pardulas con formaggio o ricotta, o a quella di Ognissanti come le pabassinas, si possono provare con un Nasco o un Moscato di Cagliari ottenuto con uve appassite, così come le seadas, dolci fritti a base di formaggio fresco, e i numerosi pasticcini a base di mandorle. Per i dolci arricchiti con la sapa, ottenuta dal mosto cotto, si può suggerire un tradizionale rosso dolce, il Girò di Cagliari.

Il clima ed il territorio

Per effetto delle sue caratteristiche pedoclimatiche, la Sardegna, seconda isola del Mediterraneo circondata da 1800 chilometri di coste, ha potuto conservare fino a oggi gran parte del suo patrimonio viticolo. Le colline occupano circa il 65% della superficie, per il resto distribuita quasi equamente tra montagne e pianure, queste ultime principalmente nel Campidano tra Oristano e Cagliari e nei dintorni di Sassari.

Il clima è mediterraneo, gli inverni sono miti e le estati calde, secche e molto ventilate, mentre nelle vallate e negli altopiani più interni, spesso incastonati tra i rilievi, il clima é più freddo, con forti escursioni termiche giornaliere e stagionali.

In Sardegna il vento non manca mai, come sanno tutti coloro che si recano in vacanza in questa splendida isola, dove anche in piena estate, a volte, le raffiche sono talmente violente da rendere problematica, a volte impossibile, una bella gita in barca o un piacevole pomeriggio in spiaggia. II maestrale, freddo e spesso impetuoso in inverno, mitiga le alte temperature in estate, anche se a volte danneggia le coltivazioni, mentre lo scirocco rende i cieli rossicci per le sabbie provenienti dai deserti africani ed è particolarmente pericoloso in tarda primavera, quando accresce la traspirazione delle piante causando stress idrici alle colture. Ma il ruolo dei venti é fondamentale nell’offrire particolare sapidità ai vini ottenuti dai vigneti costieri più esposti.

I suoli della Sardegna sono il prodotto dell’erosione di rocce antichissime che risalgono fino a 300 milioni di anni fa, perciò l’isola non ha montagne molto alte tranne il Gennargentu con i suoi 1834 metri ma predominano altopiani rocciosi di granito, scisto, trachite e basalto, le giare, e di arenaria e dolomite-calcari, i tacchi, di altezza compresa tra 300-1000 metri.

I vigneti sono impiantati spesso su terreni poco profondi e di limitata fertilità, capaci però di offrire ai vini buona mineralità, soprattutto se di derivazione granitica, come in Gallura.

Zone vitivinicole

L’intera regione abbraccia Cannonau, Monica, Moscato e Vermentino, tutti vini rientranti nella denominazione di Sardegna DOC, cosi come il Sardegna Semidano, anche se offrono sfaccettature diverse indotte dalla matrice pedoclimatica e dalla latitudine. In un ideale percorso da nord a sud si possono individuare le principali zone di produzione dei vini della Sardegna: Gallura a nord-est, Alghero a nord-ovest, Nuorese e Mandrolisai al centro, Oristano e Sulcis sulla costa occidentale, Campidano al centro-sud e Ogliastra a est.

A nord-est, in provincia di Olbia-Tempio, la famosa Gallura comprende tutta la zona di produzione del Vermentino di Gallura, dal 1996 unica DOCG dell’isola, con suoli di origine granitica capaci di garantire al vino piacevole freschezza e spiccata mineralità. Immediate sfumature di frutta a polpa bianca e un leggero ricordo gustativo di mandorla, sono perfettamente mantenute con la consueta elaborazione in acciaio, dalla versione più semplice al Superiore, più caldo e strutturato, mentre le espressioni più complesse sono arricchite da un breve passaggio in barrique. Le interpretazioni più autentiche di Vermentino di Gallura sono vini eleganti e da gustare con l’aragosta alla brace o alla catalana, immersi nella splendida atmosfera di una piccola cala.

Il Vendemmia tardiva, o la versione ottenuta da uve surmature, è ormai una tradizione per alcune grandi cantine e si abbina splendidamente con assaggi di cremosi langres e munster o di un pecorino poco stagionato arrostito sulla brace.

Sull’altro versante, nelle vigne situate nei territori a nord-ovest in provincia di Sassari, su suoli originati dal disfacimento di marne calcaree, responsabili della pregevole struttura e complessità dei vini, si incontra la denominazione Alghero con tutte le sue declinazioni ottenute da cannonau, cagnulari, monica, torbato e vermentino, ma anche da cabernet sauvignon, merlot, sauvignon e chardonnay, coltivati in questo territorio fin dal 1899. Proprio in questa zona, l’attività vivaistica dei primi del ‘900 di una nota Azienda ha generato e sostenuto fino a oggi la produzione di un grande vino rosso elaborato da cabernet sauvignon.

Nelle vicinanze di Alghero, sui terreni calcarei di Usini, il Vermentino di Sardegna DOC offre spesso complessità inusuali, più simili a quelle del Vermentino di Gallura e l’Alghero Cagnulari DOC si esprime su ottimi livelli qualitativi. Più a est, sulle colline che guardano il Golfo dell’Asinara si produce il Moscato di Sorso-Sennori DOC, un vino dolce di grande piacevolezza, ottimo con tartellette di frutta.

Scendendo verso sud, sulla costa occidentale in provincia di Oristano, nell’areale delle denominazioni Malvasia di Bosa e Vernaccia di Oristano, si producono vini di grande fascino e spiccata sapidità, che si esaltano nelle versioni sottoposte a lenta ossidazione con tecniche simili a quelle impiegate per lo Sherry.

La Vernaccia di Oristano non è tradizionalmente sottoposta all’invecchiamento con il metodo soleras, ma matura per anni in botti scolme, sotto l’amorevole controllo delle colture di lieviti flor. Tutte le sfumature dell’ambra anticipano i tipici accenti ossidativi e di mandorle, nocciole e altri frutti secchi, un gusto secco e una decisa nota alcolica, una spiccata sapidità e un lungo finale in cui riemergono sfumature amaricanti. Nelle sue versioni di maggiore evoluzione è un grande vino che può competere con i migliori Sherry, perfetto per accompagnare una piacevole conversazione in una calda serata estiva. La Vernaccia di Oristano Liquoroso, dotata di un certo residuo zuccherino, si può abbinare con pasticceria secca.

La Malvasia di Bosa Dolce è dotata di sfumata dolcezza e di grande persistenza aromatica, perfetta in abbinamento con gli amaretti.

Poco più a sud, nella piana del Campidano di 0ristano, si trova Mogoro, la sottozona più vocata per il Sardegna Semidano DOC, mentre nell’area di Arborea e nelle zone circostanti si trovano le denominazioni Arborea e Campidano di Terralba, quest’ultima consacrata alla produzione di un Rosso da bovale, caldo e strutturato.

Alla stessa latitudine, procedendo verso est, sempre in provincia di Nuoro, si trova la denominazione Mandrolisai, ottenuta da un uvaggio di cannonau, bovale e monica, tradizionalmente coltivati sullo stesso filare. Ancora nel Nuorese si colloca la sottozona Nepente di Oliena della denominazione Cannonau di Sardegna, dove il più noto vitigno a bacca nera dell’isola si esprime intensamente con profumi di fiori e di confetture di frutti rossi, con aromi che tornano nel lungo finale gusto-olfattivo.

Considerata la varietà di ambienti in cui sono prodotti, esistono Cannonau di Sardegna molto diversi tra loro, dal tradizionale rosso concentrato da uve surmature, quasi passite, ottenuto dalle vigne di Sorso e Sennori, al Classico, denominazione riservata al prodotto delle zone del Nuorese e Ogliastra, spesso dotato di buona struttura e con discrete potenzialità di evoluzione in bottiglia; infine, la versione più semplice, ottenuta sui terreni più fertili, a volte in pianura é di pronta beva e meno ricca in pigmenti.

Seguendo la costa a sud-est, nelle regioni Ogliastra e Sarrabus, si trovano le altre due sottozone Jerzu e Capo Ferrato, con vini di notevole struttura, da provare con uno spezzatino di capretto alle erbe mediterranee e con pecorini di media stagionatura.

Nel sud dell’isola si producono alcuni dei grandi vini passiti tipici della tradizione sarda, di notevole struttura e concentrazione, tra cui Nasco e Girò di Cagliari, oggi prodotto in quantità molto limitate, oltre a Moscato, Malvasia e Monica della DOC Cagliari. Inoltre, da vermentino, moscato, nasco, monica e malvasia si ottengono anche vini secchi e spumanti, bianchi, rosatie rossi. In particolare, il Nuragus di Cagliari è un vino bianco piacevole e beverino, perfetto con un piatto di fregula con le arselle.

L’area a sud-ovest è famosa per la produzione di un altro grande rosso di Sardegna, il Carignano del Sulcis DOC, da uve geneticamente affini al carignan presente in Francia e Spagna, che si sono perfettamente adattate ai terreni sciolti della zona; spesso, sono ottenute da vigne impiantate ad alberello e a volte anche a piede franco. Vino di grande personalità, dotato di un colore profondo e di un tipico intreccio di note di frutta matura e spezie, si può abbinare splendidamente con formaggi stagionati.

Vitigni

La superficie del vigneto sardo si estende su circa 26.244 ettari situati soprattutto in collina, con una produzione nel 2013 di circa 638.000 ettolitri di vino, 65.9% DOP e 14.6% IGP, prevalentemente rosso e rosato (56%).

Sistemi di allevamento della vite più diffusi sono a spalliera, con potature a cordone speronato e guyot, ma i limiti pedoclimatici delle zone più interne sostengono ancora l’utilizzo del tradizionale alberello.

Le uve a bacca nera occupano il 71% dell’area vitata e nel reimpianto delle vigne dopo la prima diffusione della fillossera nel 1883, si è puntato sulla salvaguardia del ricco patrimonio ampelografico, tanto che cannonau, nuragus, monica, vermentino e carignano rappresentano il 70% della superficie vitata.

Il vitigno a bacca nera che immediatamente richiama il vigneto sardo è il cannonau (30%), nome che può essere associato solo alla denominazione Sardegna, geneticamente affine al francese grenache; secondo alcuni autori è presente sull’isola fin dall’età nuragica, secondo altri sarebbe legato alla dominazione spagnola.

Coltivato in tutto il territorio regionale, ė un vitigno a maturazione media, con acini dotati di una buccia rosso-violacea e relativamente sottile. Nelle espressioni più tradizionali i vini sono caldi e robusti, ma poco colorati e con spiccati profumi di frutti e fiori rossi; dopo evoluzione si arricchiscono di eleganti speziature e richiami di prugna secca.

Il carignano (7%) è diffuso prevalentemente nel sud-ovest dell’isola, su terreni sciolti e immerso in un clima particolarmente caldo, dove dà vini di colore intenso, con sfumature di marasca e prugna, spezie dolci, cioccolato e pepe nero.

Più diffuso nel centro e nel sud dell’isola è invece il monica (11%), introdotto dai monaci greci, con piacevoli espressioni olfattive di mora e ciliegia, confetture di frutti rossi e spezie. Fino a qualche anno fa era impiegato nella elaborazione di un vino rosso passito, cosi come accade ancora per il girò, storicamente destinato a produrre un tradizionale vino liquoroso dalle spiccate note di ciliegia e cotognata, particolarmente caldo e vellutato.

Tra i vitigni meno conosciuti, il bovale sardo o muristellu e il bovale di Spagna (3%) sono impiegati per produrre vini ricchi di estratto e polifenoli.

Di lunga tradizione sono anche i vini ottenuti nel nord-ovest dell’isola dal cagnulari (1%), caratterizzati da un vivace colore rubino che si coniuga a profumi di piccoli frutti di bosco e note balsamiche, morbidezza e significativa nota pseudocalorica.

Il vermentino, vero alfiere dei vitigni a bacca bianca di Sardegna, è giunto probabilmente alla fine del XIX secolo dalla Corsica ed esprime pienamente la viticoltura dell’isola, occupando circa il 13% della superficie vitata. Trovato il suo ambiente ideale sui graniti galluresi, dove si esprime con struttura, mineralità e note olfattive di grande pregio, ha poi rivelato la sua forte personalità anche sui suoli più profondi del centro-sud dell’isola. Il vermentino dà in genere vini con ricche note di frutta a polpa bianca e fiori, erbe aromatiche e macchia mediterranea, minerali e morbidi, freschi e sapidi.

Molto diffuso nel sud dell’isola è il nuragus (11%), presumibilmente portato dai Fenici, adattabile e generoso, che dà un vino con colori tenui, profumi di fiori bianchi e mele, sapido e fresco. Nelle stesse zone, nel secolo scorso, era molto diffuso anche il semidano, oggi presente solo in alcune aree del Campidano di Oristano, spesso sostituito dal nuragus per la maggiore resistenza alle crittogame. Questo vitigno dà vini profumati di fiori e di pesca, con piacevole morbidezza.

Il torbato (1%) fu introdotto dagli Spagnoli e oggi, nell’area di Alghero, è impiegato per produrre spumanti metodo Martinotti di buon livello qualitativo, oppure vini fermi con intense note floreali e fruttate e dotati di notevole freschezza.

La presenza di alcuni specifici vitigni e il clima favorevole contribuiscono a mantenere viva la tradizione millenaria della produzione di vini da dessert.

La vernaccia di Oristano (1.5%), introdotta probabilmente dai Fenici e coltivata nell’Oristanese, dà vini ambrati, caratterizzati da note di frutta secca, mandorla amara e miele di castagno, oltre che da una straordinaria persistenza gusto-olfattiva, risultato di un lento processo di ossidazione e concentrazione.

Anche la malvasia di Sardegna (1%), diffusa dai monaci greci e presente in Planargia e Campidano di Cagliari, è impiegata a volte per la produzione di vini dalla caratteristica ossidazione, ma nella maggior parte dei casi è elaborata per ottenere vini con un tenue residuo zuccherino e intense note floreali e di frutta matura.

Il moscato e il nasco, complessivamente 20%, sono stati diffusi dai Romani e oggi sono alla base della produzione di vini dolci dotati di notevole consistenza e di tutte le sfumature dell’oro antico, del topazio e dell’ambra, con profumi di albicocca disidratata e agrumi canditi, miele, datteri e fichi secchi, spesso caldi e straordinariamente morbidi.

I vitigni internazionali non sono molto diffusi. Un’interessante eccezione è l’area di Alghero, dove i risultati sono a volte eccellenti. In tutta l’isola si possono incontrare merlot e chardonnay, l’uno talvolta impiegato nel blend di alcuni vini rossi per limare alcune asperità delle uve isolane, l’altro come insostituibile compagno del vermentino nei bianchi più strutturati e longevi, affinati per qualche mese in piccole botti di legno.

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