Toscana

Le Origini

Uno skyline d’eccezione, quello toscano. La cupola del Brunelleschi e la Torre del Mangia, le torri di San Gimignano e quella pendente di Pisa, le colline verdissime e i marmi bianchi di Carrara, i cipressi di Bolgheri e i pini marittimi della costa grossetana. Il tutto immerso in un’atmosfera che profuma di arte e che incanta gli amanti della bellezza di tutto il mondo, con tratti morbidi e invitanti che contrastano con l’irriverente ironia del popolo toscano. Trasferirsi in questi luoghi magici per molti è un sogno. Solo alcuni lo realizzano e, a volte, producono ottimo vino.
Fin dal 500 a.C. furono certamente gli Etruschi a propagare la viticoltura in Toscana, incrementata dallo sviluppo rurale nell’epoca romana.

Anche dopo il Mille gli ordini monastici benedettini e vallombrosani contribuirono alla diffusione della vite, e a Firenze nel 1282 fu fondata l’Arte dei Vinattieri, che amministrava il commercio di vino in città e nel contado.

Nel 1716 fu emanato il Bando Granducale di Cosimo II, con la determinazione e la protezione di quattro zone vitivinicole di eccellenza: Chianti, l’odierno Chianti Classico, Carmignano, Pomino e Valdarno Superiore. Questa legge, unica e originale, è stata il primo esempio di Denominazioni di Origine.

II XIX secolo sancì la notorietà del Chianti in ambito regionale, con la consacrazione dell’uvaggio chiantigiano di Bettino Ricasoli, nel quale si confermava la supremazia del sangiovese su canaiolo nero e malvasia. Nonostante l’autorevole parere del Barone di ferro, in vigna si continuò a sperimentare, cercando di adattare i vitigni francesi al suolo toscano, con l’impianto di vigneti a Pomino da parte di Vittorio Albizi, e di individuare
la creazione del Brunello di Montalcino da un particolare sangiovese, come testimonia la creazione del Brunello di Montalcino da parte di Ferruccio Biondi Santi,

Con la legge sulla tutela delle Denominazioni di Origine del 1963, la Vernaccia di San Gimignano è stata il primo vino italiano a ricevere il riconoscimento DOC nel 1966, e nel 1980 il Vino Nobile di Montepulciano e il Brunello di Montalcino sono stati i primi
a ricevere la DOCG.

Intorno agli anni ’80 ci fu una rifondazione del sistema vino toscano, basata su impianti più razionali volti alla produzione di vini di qualità, su nuove tecniche di cantina e sull’uso diffuso della barrique, sul miglioramento del sangiovese e sull’impiego di vitigni internazionali per creare huovi blend e dare voce a territori riscoperti o di nuova vocazione vitivinicola, come per esempio la costa tirrenica. Tutto ciò ha portato alla realizzazione di numerosi vini aziendali di altissimo pregio, definiti Supertuscan, che riuscirono anche a ottenere un grande successo internazionale.

Oggi ancora di più, la ricerca viticola e la tecnica enologica sono i cardini della qualità produttiva, parallelamente alla grande valorizzazione del sangiovese e al ritorno all’utilizzo delle botti grandi.

Vini e cibi toscani si abbinano alla perfezione, intensi, saporiti e spesso nati dalla tradizione contadina, in cui le carni rappresentano il vero punto di forza.

Molti primi piatti sono prodotti con pasta fatta in casa, come i pici o pinci con il sugo di anatra, da provare con un Chianti Colli Senesi o un Rosso di Montalcino. Il pane sciapo raffermo si trova in tante ricette, a partire dalla famosa ribollita, a base di cavolo nero, che con qualche goccia di olio extra vergine Toscano DOP è perfetta con un Chianti Montespertoli, e la garmugia lucchese, una sorta di zuppa di verdure, e il celeberrimo farro garfagnino con un Colline Lucchesi Bianco.

Se si passa ai secondi, il coniglio alla Vernaccia non può che essere abbinato con una Vernaccia di San Gimignano Riserva e la scottiglia, un tegame di carni cotte insieme e servite su pane arrostito con un Chianti Rùfina o un Monteccucco Sangiovese; inoltre, accanto alla più classica delle bistecche alla fiorentina di chianina, naturaimente al sangue, non può mancare un bicchiere di Chianti Classico Riserva, cosi come uno di Carmignano con la trippa alla fiorentina e uno di Brunello di Montalcino con il cinghiale in umido. E con una scaglia di pecorino di Pienza stagionato è perfetto un sorso di Vino Nobile di Montepulciano.

Un giusto tributo va anche dato alla cucina di mare. Il cacciucco livornese si sposa con un Chianti Colline Pisane, quello viareggino, più raffinato e delicato, si può gustare con un Montecarlo Rosso, mentre il baccalà alla fiorentina con un Chianti Colli Fiorentini.

La schiaccia briaca di Portoferraio e la schiacciata con l’uva di Firenze (torta con frutta secca e mosto di Aleatico) sono perfette con un Elba Aleatico Passito, ottimo anche con lo sfratto, dessert della tradizione ebraica ripieno di noci e spezie.

 

Infine, i famosi cantucci di Prato sono perfetti con il Vin Santo diCarmignano e il celeberrimo panforte di Siena con il Vin Santo di Montepulciano.

Il clima ed il territorio

Il territorio toscano si distende per lo più su morbide colline, che occupano il 67% della regione, ma presenta numerose sfaccettature di climi e terreni.

Il clima toscano è generalmente mite sulla costa, con estati calde e siccitose mitigate dai venti provenienti dal mare e con inverni non troppo rigidi e mediamente piovosi. Diversa è la situazione nella parte centrale collinare, dove il clima è più continentale, con estati secche e difficoltà idriche per la vite, mentre nelle altre stagioni è abbastanza freddo e discretamente piovoso.

Le colline del Chianti, di Montalcino e di Montepulciano, della Lucchesia e della Maremma, presentano terreni prevalentemente calcareo-argillosi, che donano ai vini, in particolare a quelli a base di sangiovese, buona struttura, acidità e sapidità. Inoltre, specialmente nelle aree chiantigiana e senese, sono presenti l’alberese, un calcare bianco compatto, e il galestr0, una roccia lamellare e argillosa, che sono i principali responsabili, rispettivamente, delle doti di longevità e di eleganza dei vini.

Sulla costa i terreni sono più ricchi di argilla mista a sabbia ma anche di minerali, che offrono ottima sapidità ai vini ottenuti da vermentino nelle zone più settentrionali, oltre che struttura e grande eleganza ai rossi della costa livornese.

La Maremma ha suoli prevalentemente calcarei e argillosi, che esaltano la morbidezza e la nota alcolica dei vini, mentre nell’entroterra grossetano i terreni di origine vulcanica danno vini dotati di intensità cromatica e struttura.

Zone vitivinicole

Le zone vitivinicole toscane si possono suddividere in due macroaree: le colline della Toscana Centrale e la Toscana della Costa tirrenica.

La Toscana Centrale è il cuore storico della regione, con il dominio assoluto del sangiovese. Chianti Classico e tutte le sottozone del Chianti, l’area pratese con il Carmignano, l’arca senese con il Brunello di Montalcino, il Vino Nobile di Montepulciano, la Vernaccia di San Gimignano e il territorio aretino dal Valdarno alla Valdichiana, rappresentano territori da sempre emblema della Toscana vitivinicola.

La Toscana della Costa tirrenica vede la coesistenza di diverse aree e vini storici, come il territorio del Candia dei Colli Apuani e quelli lucchesi, l’Elba e la Maremma con il Morellino di Scansano, oltre alla recente affermazione dei vigneti costieri livornese e pisano, da Montescudaio a Bolgheri e Val di Cornia, con il dominio di diversi vitigni internazionali.

Il termine Chianti, per designare un vino bianco, fu usato per la prima volta nel 1398 da Francesco di Marco Datini, il famoso mercante pratese inventore della cambiale, e solo nel secolo successivo non ci furono più dubbi sulla vocazione vitivinicola chiantigiana per le uve a bacca nera, come attesta il Catasto di Firenze del 1427. Un altro passo fondamentale fu il Bando Granducale di Cosimo III del 1716, nel quale si definiva e proteggeva il territorio chiantigiano. Quello decisivo fu la creazione della formula ricasoliana, uvaggio in parte ancora attuale. Nel 1872 il Barone Bettino Ricasoli scriveva al Professor Studiati:

Il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canajuolo l’omabilità che tempera la durezza del primo senza togliergli nullo del suo profumo; la Malvasia, della quale si potrebbe farea meno nei vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente odoperabile all’uso della tavola quotidiana.

Nel 1924 nacque il Consorzio per il vino tipico del Chianti, nel 1932 furono stabilite le sei sottozone, divenute sette nel 1996, nel 1967 ci fu il riconoscimento a DOC e nel 1984 a DOCG.

La produzione di Chianti è di oltre 700.000 ettolitri e circa 250.000 di Chianti Classico, con l’80% esportato soprattutto negli Stati Uniti (28%), in Germania (12%), in Canada, nel Regno Unito e in Svizzera. Nel mondo, il Chianti Classico è rappresentato dal famoso Gallo nero, fortunatissimo logo del Consorzio. La sua origine è legata a una leggenda che narra di una gara tra un cavaliere fiorentino e uno senese, che si contendevano il confine tra le due rispettive Repubbliche, che sarebbe stato fissato nel punto dove i due cavalieri si fossero incontrati partendo dalla propria città al canto del gallo. I senesi scelsero un gallo bianco, mentre i fiorentini scelsero un gallo nero, che lasciarono a digiuno. Il giorno della prova, il gallo nero fiorentino, morso dalla fame, cominciò a cantare prima del sorgere del sole e il cavaliere fiorentino parti in netto anticipo rispetto a quello senese. I due cavalieri si incontrarono a soli 12 chilometri dalle mura di Siena e la Repubblica Fiorentina poté annettere tutto il territorio del Chianti, assumendo come simbolo del territorio proprio il Gallo nero. La fortuna commerciale del Chianti aumentó dalla metà dell’800, grazie all’invenzione del fiasco in vetro pesante di Laborel Melini, che portò per più di un secolo all’identificazione del vino chiantigiano con questa particolare bottiglia, anche se le prime tracce sembrano risalire al XIV secolo.

Il disciplinare di produzione del Chianti prevede l’impiego di sangiovese (minimo 70%), che può essere completato dai soliti vitigni complementari autoctoni e alloctoni, in minima parte anche uve a bacca bianca come trebbiano e malvasia.
L’invecchiamento minimo di Chianti, Chianti Classico e altre sottozone varia da quattro mesi a un anno, tempi che si allungano ad almeno due anni per la Riserva.

La produzione del Chianti si estende su un territorio molto ampio, oltre 10.500 ettari, che comprende parte delle province di Firenze, Siena, Arezzo Pisa, Prato e Pistoia, immerso in un clima caratterizzato da inverni non troppo rigidi ed estati calde e secche, e con terreni molto sfaccettati che influenzano in modo determinante il carattere dei vini delle diverse sottozone.

Dal 1996 il Chianti Classico si stacca definitivamente dal mondo Chianti, con un disciplinare di produzione che contempla un abbassamento delle rese per ettaro e la definitiva esclusione dall’uvaggio delle uve a bacca bianca. Oggi il disciplinare prevede una percentuale minima dell’80% di sangiovese e i complementari possono essere vitigni autoctoni come il canaiolo, il colorino e la malvasia nera, oppure internazionali come il cabernet sauvignon e il merlot.

Dopo questo cambiamento epocale, si assiste alla nascita di tre stili di Chianti Classico legati a produttori tradizionalisti, innovatori e internazionalisti. I primi sostengono l’uvaggio di vitigni autoctoni e l’uso di botti grandi, i secondi sempre lutilizzo di uve complementari toscane ma l’evoluzione in botti di media e piccola dimensione, i terzi l’impiego anche di vitigni internazionali e delle barrique.

Il territorio del Chianti Classico è composto da nove comuni tra Firenze e Siena, 6800 ettari di vigneti immersi in un paesaggio amatissimo anche da molti stranieri, che lo definiscono Chiantishire, colline punteggiate di borghi, fortezze e castelli che nei secoli si sono trasformati in cantine, dove l’opera esperta del contadino ha creato un territorio quasi magico.

Un elemento determinante per il carattere dei vini è il suolo calcareo-argilloso e il sottosuolo con galestro e alberese, che offrono al sangiovese grande sapidità ed eleganza.

Il territorio fiorentino è caratterizzato da Greve, dove i vigneti si trovano a 250-350 metri e danno vini tendenzialmente morbidi, con spiccate note di viola, grande equilibrio e finezza gustativa.

A San Casciano, grazie a un terreno più ricco di calcare, i vini sono ancora più eleganti e di carattere. Diversa è la situazione a Panzano, con vigne più alte e aperte a formare un anfiteatro naturale, la Conca d’oro del Chianti, dove grazie al galestro, con sabbia e gesso, si producono vini robusti e dotati di un colore più profondo. I terreni di Gaiole sono molto poveri, con buona presenza di calcare, e i vini prodotti sono longevi, freschi e con tannini decisi.

A Radda il suolo è ancora roccioso, ricco di galestro e calcare, e dà vini ricchi in polifenoli e acidità, destinati a una lenta evoluzione.

A Castelnuovo Berardenga, calcare, sabbie, galestro e argille sono in grado di offrire vini potenti ed eleganti, con grande sapidità e potenzialità di evoluzione. Oltre al didascalico abbinamento con la costata di manzo alla fiorentina, il Chianti Classico è ottimo anche con un brasato al Sangiovese.

La sottozona più vasta del Chianti è quella dei Colli Senesi, un territorio variegato che si estende per 1400 ettari.

Il terreno è principalmente a impasto medio, argillo-sabbioso e con tufo, varia secondo le zone e si riflette nella diversa personalità dei vini.

Le tre principali aree di produzione si estendono a nord: San Gimignano, Colle Val d’Elsa, Monteriggioni, passando da Siena, a sud-ovest: Murlo e Sovicille,  e a sud-est, con Sinalunga, Pienza e Chiusi.

Colli Senesi è molto simile a quello del Chianti Classico, specialmente nell’area confinante, con buona struttura e personalità, sentori di ciliegia e di cannella, da provare con l’anatra all’arancia.

II Chianti Rùfina è per estensione la terza sottozona, circa 800 ettari, famosa per essere stata il serbatoio vinicolo di Firenze, perché molto del vino prodotto era portato in città con carri a forma di barca sui quali erano accatastati i fiaschi. L’area rufinese era già stata protetta con il Bando Granducale settecentesco, nel quale era denominata Pomino. Il clima asciutto e ventilato favorisce un’ottima maturazione delle uve e i terreni sabbioso-calcarei danno vini di buona freschezza e molto fruttati in gioventù, con buona trama tannica. La sorpresa è la Riserva, che sfida il tempo con una longevità che può raggiungere i venti anni.

Il Chianti Colli Fiorentini si estende su circa 620 ettari, è molto variegato e va dalle vigne suburbane di Fiesole, Bagno a Ripoli e Scandicci, a tutta la fascia meridionale delle colline fiorentine. I vini sono fruttati e di struttura moderata, con un discreto passaggio in barrique o in botti grandi.

La sottozona più giovane, disciplinata nel 1996 è il Chianti Montespertoli, circa 1400 ettari situati intorno alle colline dell’omonima cittadina a sud-ovest di Firenze, che dà un vino di ottima freschezza.
Molto meno esteso è il territorio del Chianti Colli Aretini, con soli 140 ettari, nel quale si produce un vino di media struttura, con una freschezza dinamica e un finale floreale, da apprezzare in gioventù con pappardelle ai funghi.

II Chianti Colline Pisane copre l’area più a ovest di tutta la denominazione, in un paesaggio molto dolce e meno chiantigiano, che risente dei venti marini. Qui si elaborano Chianti beverini e morbidi, con sentori di ciliegia croccante, perfetti con la bouillabaisse.

Infine il Chianti Montalbano, che si estende tra Vinci e le colline pistoiesi di Lamporecchio e Larciano. È un vino semplice e da bere giovane, perfetto in abbinamento con un panino al lampredotto, il più classico street food fiorentino.

E cosi si conclude il viaggio nelle affascinanti terre del Chianti.

Il Vin Santo Toscano
Presente in ogni casa toscana per onorare gli ospiti, frutto di una sapiente vinificazione arcaica legata ai capricci degli eventi, il Vin Santo evoca l’appassimento delle uve nella Settimana Santa o un sottile filo di sacralità con un’origine etimologica legata al suo utilizzo durante la liturgia eucaristica. Un vino che emoziona, difficile da descrivere con tratti comuni, perché ogni produttore lo interpreta secondo il proprio stile.

Le uve più impiegate per la produzione dei numerosi Vin Santo sono trebbiano toscano e malvasia bianca lunga. Il sangiovese diventa protagonista nel Vin Santo Occhio di Pernice, talvolta con l’aggiunta dei soliti trebbiano e malvasia.

I grappoli migliori sono raccolti con cura, stesi su stuoie o appesi in locali benventilati, in genere sottotetti delle case, fatti appassire da uno a sei mesi finché l’uva perde fino al 35-40% di acqua. Dopo la pigiatura, il mosto è posto sia in caratelli, botticelle di capacità di 50-100 litri, sia in barrique usate più volte.

La fermentazione avviene nelle botticelle scolme e i lieviti utilizzati sono selezionati tra quelli più resistenti ad alte concentrazioni di alcol etilico, oppure tra quelli residui nelle fecce dei caratelli a fine produzione, la cosiddetta madre. Su questa scelta c’è grande discordanza tra i produttori, perché coloro che utilizzano la madre la considerano la riproposizione del DNA del loro Vin Santo, mentre gli altri la ritengono un concentrato della peggiore flora batterica, soprattutto di batteri acetici.

L invecchiamento dura almeno tre anni, ma ogni produttore interpreta il percorso in legno secondo il proprio stile aziendale o territoriale. I tempi lunghi permettono un’ossidazione controllata del vino, che ne arricchisce il bouquet. La vera magia è però l’assemblaggio finale, ogni anno, per creare un vino uniforme partendo da vini anche molto diversi.

I colori dei Vin Santo variano dal giallo dorato all’ambrato molto intenso e scuro, i profumi liberano sentori di noce e nocciola, caramella d’orzo e cioccolato, fico secco e miele di castagno, oltre a intense note eteree. La dolcezza è modulata in funzione del residuo zuccherino, ma questi vini sono sempre dotati di pienezza di gusto e lunga persistenza, che li rende ideali come vini da conversazione oppure da abbinare con pasticcini di ricotta con arancia candita e spezie o con formaggi erborinati.

L’Occhio di Pernice ha un colore che sfuma dal granato intenso all’aranciato cupo, con accenti di confettura di prugna e miele di corbezzolo, caramello e cioccolato fondente, caffè e tabacco, con grande struttura e tannini levigati, perfetto con il panpepato senese o deliziosi tartufi al cioccolato.

Tra i ventiquattro Vin Santo appartenenti alle diverse denominazioni, spiccano quelli di Montepulciano, del Chianti e del Chianti Classico, oltre a quello di Carmignano, che possono evolvere per oltre 30 anni.

Le Colline Fiorentine e Pratesi
A ovest di Firenze si innalza la collina di Montalbano e sul suo versante occidentale si trova il territorio di Carmignano, con quasi 200 ettari di vigna che davano vini già amati dai Granduchi di Toscana. Nel ‘700, ad Artimino era forse presente tutto il campionario di uve dello Stato toscano, tra cui l’uva francesca. Proprio i cabernet permetteranno a Carmignano, nel 1975, di staccarsi dal mondo Chianti, con un uvaggio in cui il sangiovese recita ancora la parte del leone (minimo 50%); il canaiolo nero è presente fino al 20%, ma cabernet sauvignon e franc possono essere presenti dal 10 al 20%, con altre uve a bacca nera fino al 10%. Le vigne sono poste tra i 250-400 metri e sono rivolte sia verso la piana di Prato sia verso la valle dell’Arno. Calcari marnosi di tipo alberese, scisti argillose e arenarie, conferiscono ai vini eleganza e buona longevità. Il carattere del Carmignano dipende molto dall’uvaggio, più potente e strutturato se i cabernet raggiungono il tetto consentito del 20% e con un ulteriore 10% di altre uve internazionali, più sottile e sapido se il sangiovese domina con l’80% del totale.

Sempre nello stesso territorio si producono il Barco Reale Rosso DOC, denominazione di ricaduta del Carmignano, con lo stesso uvaggio ma un’evoluzione più breve, da provare con la trippa alla fiorentina, e il Rosato, buono con linguine con verdure grigliate.

Spostandosi a nord-est del capoluogo di regione, è presente un’area pedemontana, Pomino, dove da tempo si sono ambientati molto bene alcuni vitigni di origine francese.

Infatti, già nel Bando di Cosimo II, Pomino era un’area viticola di pregio, ma la svolta lu dettata dalla sperimentazione di Vittorio Albizi, che a metà ‘800 impiantó dei vitigni francesi, realizzando una sorta di zonazione ante litteram. Chardonnay e pinot bianco furono impiantati fino a 750 metri, quota ritenuta allora proibitiva per la Toscana centrale, mentre tra i vitigni a bacca nera si impiantarono pinot nero, cabernet sauvignon e franc, merlot, syrah, gamay e, ovviamente, sangiovese. Il Pomino Bianco è il vino più prodotto della denominazione, ottenuto da chardonnay in purezza o in uvaggio con pinot bianco e pinot grigio, con accenti minerali su uno sfondo di frutta fresca, agrumi e fiori di campo, un gusto snello e fresco, interessante con una torta salata con asparagi e menta.

Il Pomino Rosso, elaborato da sangiovese, pinot nero e merlot, è fresco e ottimo con la finocchiona e il bardiccio, tipica salsiccia rufinese, mentre il Pinot nero in purezza esprime buona acidità e note di ribes e balsamiche, ed è da provare con l’agnello con le olive.

Il clima fresco favorisce la raccolta delle uve in vendemmia tardiva e la ventilazione determina un ottimo appassimento, condizioni ideali per elaborare un buon Vin Santo da trebbiano toscano e malvasia, da abbinare con un assaggio di stilton, in omaggio ai numerosi appassionati britannici.

Le Colline Aretine
Il territorio aretino si può suddividere in tre macroaree: il Valdarno Aretino, la Valdichiana e Cortona. Nel Catasto Fiorentino del 1427 già si menzionava la qualità dei vini prodotti in queste zone, ma il documento più importante è sempre il Bando Granducale del 1716, dove si cita anche il Valdarno di Sopra. Oggi il territorio si esprime nell’omonima denominazione, oltre al Chianti Colli Aretini DOCG.

La denominazione Valdarno di Sopra si estende sulle due sponde dell’Arno, dalla Val d’Ambra fino a sopra San Giovanni Valdarno e Montevarchi, con quaranta tipologie di vini, compresi passiti e spumanti, a base di vitigni locali e internazionali.

Un altro territorio aretino è Cortona, riscoperto attraverso il syrah, nuovo interprete che coniuga la propria forza fruttata con la solarità di queste zone, che esprimono vini dotati di grande morbidezza e potenza. Oltre al Cortona Syrah, buono con l’arista di maiale alle erbe, questa denominazione propone un ottimo Sangiovese, che può accompagnare i grifi all’aretina, e un Merlot da provare con la sella di capriolo ai mirtilli rossi.
Tra i bianchi, uno strutturato Chardonnay può esaltare un’ottima vellutata di ceci e scampi, un fresco Sauvignon una tempura di gamberi e verdure e un Grechetto, che libera note di pesca gialla e mela renetta, un piatto di trenette con fave e pomodorini.

Ai piedi di Cortona si apre il territorio della Valdichiana Toscana DOC, una tipica pianura bonificata. Un tempo si produceva un solo vino a denominazione, il Bianco Vergine della Valdichiana, mentre oggi il panorama produttivo comprende vini a base di chardonnay e grechetto, che convivono con rossi e rosati ottenuti da uvaggi di sangiovese con cabernet sauvignon, merlot e syrah. Oltre al pregiato Vin Santo, da centellinare dopo cena, durante una piacevole conversazione.

Il Brunello di Montalcino
Il territorio di produzione del Brunello di Montalcino ha una forma quasi circolare, con un diametro di 16 chilometri. La collina di Montalcino presenta zone con terreni ricchi di calcare, scisti, galestro e alberese, vaste porzioni di terreni più ricchi e con meno scheletro e altri formati da detriti alluvionali.

Il clima è mediterraneo e la zona è anche protetta dal vicino Monte Amiata.

Il vitigno è il sangiovese, chiamato brunello per sottolineare il colore scuro degli acini rispetto agli altri biotipi di sangiovese conosciuti all’epoca.

II Brunello di Montalcino è legato a doppio filo con la famiglia Biondi Santi. Ferruccio Biondi Santi ereditò la passione per il vino dal nonno materno e stabili, già nella seconda metà dell’800, standard produttivi molto severi, con la grande novità della produzione di un vino solo da sangiovese e con rese limitate. L’annata scelta per la nascita di questo vino è il 1888 e da allora ha iniziato ad assumere un’importanza e una fama sempre crescenti. Il riconoscimento della DOC nel 1966 spinse molti produttori a sfruttare l’immagine del Brunello, impiantando vigneti in questi luoghi e migliorando le tecniche produttive, fattori che portarono il territorio di produzione dai 76 ettari del 1967 agli attuali 2100. E con la vendemmia 1980 ci fu il riconoscimento a DOCG. Oggi, il Brunello di Montalcino è un vino da sangiovese in purezza che deve riposare in cantina almeno cinquanta mesi, di cui almeno due anni passati in botte e, per la Riserva, il tempo si allunga di un altro anno.

Nella collina sulla quale si trova Montalcino, cittadina medievale dominata da un’austera fortezza, si possono individuare quattro versanti, con areali produttivi che identificano terroir definiti, influenzati dal mare a circa 50 chilometri a ovest e dal Monte Amiata a sud-est.

Il versante settentrionale è quello delle crete e di Montosoli, con un clima continentale e le maggiori escursioni termiche. II Brunello, qui, è profumato e robusto, dotato di buona sapidità e freschezza. Il versante occidentale guarda il mare e gode di un clima caldo ma ventilato dalle brezze marine, che garantisce costanza nell’epoca della maturazione. Tutto ciò crea un vino più minerale e serbevole. Un Brunello di buona freschezza e tannini importanti, strutturato e longevo, è quello che si ottiene sul versante orientale, il più freddo, con una maturazione delle uve più lenta e tardiva.
Infine il versante meridionale, che volge verso la Val d’Orcia, una conca riparata dai venti, presenta temperature più alte e maturazioni anticipate, piogge più rare e terreni più siccitosi, dove si ottengono vini con una spiccata componente alcolica.

Negli ultimi venti anni si sono evidenziati diversi stili produttivi: se si sceglie il riposo in botte grande il vino sosterà in legno fino a tre anni, se si opta per la barrique i tempi si riducono a due.

Il Brunello più tradizionale si presenta con intense sfumature granato e profumi evoluti di terra, cuoio e tabacco, e l’assaggio più grintoso è dovuto a una spiccata spalla acido-sapida e tannini importanti. Il Brunello più moderno rivela un colore rubino profondo e profumi intensi di confetture di frutta e di spezie dolci, anticamera di un’ottima morbidezza e di un carattere più potente. In ogni caso, l’interpretazione stilistica, nel tempo, sarà superata dalla personalità del sangiovese e del suo terroir.

A Montalcino si concentra l’attività produttiva di una schiera di 250 produttori, dei quali 200 imbottigliano e più di 1/3 possiede meno di tre ettari di vigneto. Le bottiglie commercializzate sono circa 6.500.000 e il 60% è destinato al mercato internazionale, con una prevalenza verso USA (25%), Germania (9%) e Svizzera (7%).

Nella zona di Montalcino, oltre al grande Brunello, si può apprezzare anche il Rosso di Montalcino DOC (250ha), che esce sul mercato dopo un anno di cantina, e il Sant’Antimo DOC (650ha), prodotto in varie versioni, il Bianco da uve internazionali, il Rosso sempre con la partecipazione di vitigni alloctoni, il Vin Santo e il Novello. Infine, da tradizione, si produce il dolce e profumatissimo Moscadello di Montalcino DOC, Frizzante, Dolce naturale e Vendemmia tardiva, ottimo con i brutti e buoni e gli ossi di morto.

Scendendo verso la Valdichiana si arriva a Montepulciano, percorsa da antiche gallerie sotterranee che erano dedicate alla produzione e alla conservazione del vino: da sempre, una vera cantina fortificata! Il nome Nobile risale al 1925 ed è estrapolato dal verso del già citato Redi

Montepulciano d’ogni vino è re

II Vino Nobile di Montepulciano DOCG è un uvaggio di sangiovese, localmente chiamato prugnolo gentile, con vitigni complementari tradizionali e di recente anche internazionali. Deve riposare in cantina almeno due anni, che salgono a tre per la Riserva.

Nel comune di Montepulciano, escludendo la parte pianeggiante della Valdichiana, 1300 ettari di vigne sono comprese tra i 250-600 metri, in terreni per lo più sabbiosi e argillosabbiosi con ciottoli e fossili, che permettono la produzione di vini con caratteri diversi.
Argiano, Cervognano, Madonna delle Querce e Acquaviva danno vini di grande equilibrio ed eleganza; Caggiole, Ciarliana, Gracciano e Abbadia, nella zona più calda del territorio, più strutturati e ricchi di alcolicità; Canneto e Bossona, nella zona più alta, quelli dotati di maggiore complessità olfattiva, e infine Valiano e Capezzine, vini particolarmente morbidi e dotati di grande potenziale evolutivo. II Vino Nobile di Montepulciano più tradizionale, con un uvaggio a base di sangiovese e dei suoi complementari storici, evoluto in botti di medie e grandi dimensioni, esprime profumi di viola appassita, amarena e pepe nero, pienezza di gusto e morbidezza, ed è perfetto con il piccione al tegame. II Vino Nobile di più recente concezione, con l’ammiccante presenza del merlot e l’utilizzo in parte  delle barrique, è più strutturato e morbido, da abbinare con cinghiale in dolceforte.

In 380 ettari di questo territorio si trova anche il Rosso di Montepulciano DOC, con lo stesso uvaggio ma un’evoluzione decisamente più breve. Il colore è rosso rubino, i profumi ricordano la violetta e la ciliegia fresca e l’assaggio rivela una discreta struttura, doti che rendono questo vino perfetto con un arrosto bardato con pancetta croccante.

Tra Montalcino e Montepulciano, in un territorio esteso e variegato per altitudini e terreni, si trova la denominazione Orcia. I terreni ricchi di argilla di Buoncovento danno vini di ottima struttura, quelli sabbioso-tufacei di San Giovanni d’Asso e Trequanda vini eleganti ed equilibrati, mentre quelli elaborati da vigneti situati in terreni più ricchi di sabbie e ciottoli con fossili di Pienza sono molto strutturati; infine, quelli prodotti da vigne in suoli calcareo-ufacei di San Quirico d’Orcia e Castiglione d’Orcia, offrono ottima morbidezza e intensità olfattiva. Particolare è il Rosso, nel quale, oltre al sangiovese e ai consueti complementari locali e internazionali, si può trovare un po’ di foglia tonda, antico vitigno senese.

La Costa Settentrionale
La Costa Settentrionale comprende due zone principali: i Colli Apuani e la Lucchesia. Circa duecento ettari di vigneti disegnano le colline tra Massa e Carrara, dove si trova il territorio del Candia dei Colli Apuani DOC, un caleidoscopio colorato dal verde delle vigne, dal giallo dei limoni massesi, dal bianco delle cave di marmo sullo sfondo e dal blu del Mar Tirreno all’orizzonte. In questa terra severa il vignaiolo ha scolpito vigne terrazzate su forti pendenze, dove le viti sono allevate con oltre 6000 ceppi/ha e sono rette da canne o sostegno morto.

Il cuore del comprensorio è costituito da arenarie calcaree che creano il substrato omogeneo delle alture tra Carrara e Massa.

Il vitigno più coltivato é il vermentino, ma si trovano anche la ligure albarola e la malvasia bianca, mentre più rare e di recente diffusione sono le uve a bacca nera, tra le quali spicca l’onnipresente Sangiovese e altre uve locali come la barsaglina o massaretta e il vermentino nero.

La produzione segue un modus operandi dettato solo dalle scelte del produttore: i vini sono secchi o amabili, morbidi o nervosi, a volte anche appena effervescenti, con un livello qualitativo oscillante tra vini ottimi e altri un po’ artigianali.

Nella Lucchesia si possono distinguere due zone produttive, le Colline Lucchesi a nord della città e la fascia collinare sotto la cittadina di Montecarlo. I terreni sono in prevalenza argillosi con elementi silicei, a volte misti a quelli ghiaiosi, che danno vini con colori piuttosto intensi e una buona componente alcolica. Oltre al Sangiovese e al Merlot in purezza, si produce il Colline Lucchesi Rosso DOC, con il sangiovese nel ruolo di vitigno-base completato dai consueti canaiolo, ciliegiolo e colorino, di buona struttura e bevibilità, ottimo con le anguille del Serchio in zimino. II Colline Lucchesi DOC prevede anche un Sauvignon e un Vermentino in purezza, oltre a un terzo vino frutto di un uvaggio a base di trebbiano.

E poi la collina di Montecarlo, che separa la Valdinievole dalla piana di Lucca. La storia del borgo si intreccia con quella del vino, tanto che il suo antico nome era Vivinaia o Via del Vino. I vigneti sono distribuiti su terreni di argilla mista ad arenaria e calcare, che danno vini fini e sapidi. Trebbiano toscano a volte in uvaggio con sémillon, pinot grigio e bianco, vermentino, sauvignon e roussanne, danno vini freschi e piacevoli. Semplice e fruttato è anche il Montecarlo Rosso DOC, a base di sangiovese e complementari, che si sposa bene con il coniglio ripieno. Il Riserva, con due anni di invecchiamento, si abbina bene con pollo in umido.

La Costa Livornese e Pisana
La Costa Livornese e Pisana comprende Bolgheri, Montescudaio, Terratico di Bibbona, Val di Cornia ed Elba.

Bolgheri: la risposta italiana a Bordeaux. L’intuizione del Marchese Mario Incisa della Rocchetta, che nel 1944 impiantò a Bolgheri, all’interno della Tenuta San Guido, 1.5 ettari di cabernet sauvignon e franc, si è rivelata negli anni veramente brillante, così come l’introduzione in Italia della barrique. Nato come vino da tavola nel 1968, Bolgheri Sassicaia è stato il primo vino aziendale identificato come sottozona di una DOC, riconosciuta nel 1994. La classe e il progetto di realizzare un grande vino rosso da invecchiamento su una costa marina e diverse analogie di terroir, come l’altitudine molto limitata, i terreni ciottolosi con argille e sabbie, l’influenza delle brezze provenienti dal mare, rendono Sassicaia simile ai grandi Cru Classé bordolesi. A partire dagli anni ’70, il Sassicaia è diventato un vino-cult, uno dei migliori vini italiani da invecchiamento. Non solo, perché il vigneto di Bolgheri si è esteso in modo esponenziale: dai 260 ettari della fine degli anni ’90 si è passati ai circa 1140 attuali, con una cinquantina di produttori.

Nella zona di Bolgheri si possono individuare tre grandi aree: le colline, la zona intermedia e la zona più vicina al mare.
Sulle colline si trovano i depositi alluvionali più antichi, nella zona intermedia ci sono terreni alluvionali ciottolosi e con una buona presenza di ossido di ferro, dove si trova il vigneto Sassicaia, e in quella più vicina al mare si incontrano recenti depositi fluviali che si mescolano con quelli marini. L’area di produzione è costituita da una fascia parallela alle spiagge della Maremma settentrionale nel comune di Castagneto Carducci, con una catena di colline che protegge vigneti e uliveti dai gelidi venti del nord. In estate, questo corridoio è percorso da leggeri venti rinfrescanti.

I vigneti migliori si trovano nella zona intermedia ai piedi delle colline e nella pianura tra Bolgheri e la zona sud di Castagneto Carducci. L’attuale disciplinare del Bolgheri DOC permette di utilizzare monovitigni per i Bolgheri Rosso e Rosato, cabernet sauvignon, cabernet franc o merlot anche fino al 100%, ma sono ammessi anche syrah e sangiovese, entrambi fino al 50%, oltre a piccole percentuali di petit verdot.
Tutto ciò non consente di definire uno stile unico dei vini di Bolgheri, perché nella stessa denominazione si possono trovare varie declinazioni di vini con netto taglio bordolese e di altri con sangiovese.

Lo stile ideale può essere ricercato nel solco della linea tracciata dal Bolgheri Sassicaia e dai grandi storici Bolgheri Superiore, senza trascurare IGP di fama mondiale come il Masseto e il Messorio (merlot 100%), e il Paleo (cabernet franc 100%).

Lo stile Bolgheri è dettato da un colore rosso rubino profondo, preludio di grande evoluzione, profumi intensi di frutti a bacca nera maturi, a volte con note di macchia mediterranea e spezie, calore e morbidezza vivacizzati dalla freschezza e da una fitta trama tannica, che donano potenza ed eleganza.

Una piccola percentuale di produzione è destinata anche a un Bianco a base di vermentino e di sauvignon.

I Supertuscan
Fu la critica anglosassone a coniare negli anni ’80 il termine Supertuscan per indicare dei vini aziendali che avevano riscontrato i favori del mercato internazionale pur non appartenendo a nessuna denominazione. In realtà tutto nasceva molto tempo prima, perché già nel 1968 erano nati il Vigorello di San Felice, un Sangiovese in purezza prodotto nel cuore del Chianti Classico ma al di fuori delle regole del disciplinare di produzione e il Sassicaia, per arrivare nel 1971 al Tignanello, lo stereotipo dei Supertuscan,
mix di sangiovese chiantigiano con cabernet sauvignon e franc. Ci si può chiedere quale sia stato il motivo che ha portato alla produzione di questi vini. Per alcuni produttori sono stati la risposta alla débâcle toscana degli anni ’70, quando si puntava ancora sulle grandi quantità a scapito della qualità. Inoltre, a fare da sfondo a questa situazione, lo scandalo del vino al metanolo nel 1986 e un disciplinare della DOCG Chianti (1984) che permetteva ancora l’utilizzo delle uve a bacca bianca. Un rinascimento enologico era assolutamente necessario e sulle orme dei primi famosi Supertuscan, sono nati vini aziendali di qualita che suscitavano la fiducia del consumatore nel singolo produttore, non mediata da una denominazione o da un territorio stereotipato.
Contrariamente a quanto creduto da molti, i Supertuscan non sono vini ottenuti solo da vitigni internazionali, molti sono grandi Sangiovese in purezza, anche se le novità più eclatanti nella loro produzione furono l’impiego dominante di queste uve, eventualmente in uvaggio con il sangiovese, e l’adozione pressoché totale dell’uso della barrique.
Molti Supertuscan hanno quindi raggiunto risultati di altissimo livello internazionale, ma al di là delle performonce dei singoli, a questi vini va dato il merito di avere scoperto e valorizzato nuove aree vocate per la viticoltura toscana, su tutte la Costa tirrenica, fino a pochi anni prima quasi ignorata.

Intorno a Bolgheri, tutto brilla di luce riflessa.

A nord di Bolgheri si trova la denominazione Terratico di Bibbona, che si estende sulla costa fino a Bibbona, una zona che in passato ha ispirato le tele dei Macchiaioli.

La zona settentrionale presenta terreni tendenzialmente sabbiosi e ha scoperto la vocazione per i vitigni a bacca bianca sia locali sia internazionali, nell’area centrale di Rosignano si prediligono blend di sangiovese con vitigni francesi di buona potenza, mentre nel versante collinare di Cecina fino a Bibbona si sente la forte influenza di Bolgheri, con l’uso di uve bordolesi e di syrah per ottenere vini intensamente colorati e fruttati, balsamici e speziati, tostati e potenti.

Un territorio che ha saputo sfruttare molto bene il riflesso bolgherese, ponendosi all’attenzione internazionale, è la Val di Cornia DOC, dove alla fine degli anni ’80 si impiantarono cabernet sauvignon e franc, merlot e syrah, senza dimenticare il sangiovese, con grande attenzione in vigna e in cantina. In questa denominazione convivono vini ottenuti da monovitigni tradizionali e internazionali, come Ansonica anche Passito, Vermentino, Ciliegiolo, Cabernet sauvignon, Merlot e Aleatico Passito, oltre al Bianco e al Rosato. Dal 2011 la sottozona Suvereto è DOCG, con produzioni di Cabernet sauvignon, Merlot e Sangiovese in purezza oltre a un blend di cabernet sauvignon e merlot. Anche il Valdicornia Rosso è DOCG, con 40% di sangiovese e 60% tra merlot e cabernet sauvignon. Proprio il merlot ė il protagonista in quest’ultimo lembo di Maremma livornese, per la sua forza e morbidezza, ma si stanno facendo largo anche il cabernet franc, il syrah e il petit verdot, che qui scopre un’area particolarmente vocata.

Le colline di Montescudaio sono influenzate dal clima marino e vi si producono vini bianchi da vermentino e rossi ancorati al tradizionale sangiovese, seppure con aperture verso i vitigni internazionali, dinamici e con profumi freschi di frutti di bosco e di eucalipto.

Sempre nel territorio pisano, la denominazione San Torpè offre in genere un vino semplice a base di trebbiano o di vermentino, mentre quella di Terre di Pisa propone un Sangiovese in purezza e un Rosso a base di sangiovese e uve internazionali.

Negli ultimi quindici anni, una vera e propria rinascita della viticoltura ha coinvolto l’Isola d’Elba, che ha raggiunto i 300 ettari vitati, di cui 180 a denominazione.

L’Elba Aleatico Passito DOCG è il testimonial dell’isola, con intriganti profumi di gelatina di mora e frutti di bosco, fiori rossi e spezie dolci, e una bella struttura che lo rende perfetto in abbinamento con dolci al cioccolato e nocciole o come vino da conversazione. Il vino dolce più prodotto è tuttavia l’Elba Moscato Passito, ma è molto gradevole anche l’Elba Ansonica Passito, con profumi agrumati e di pesca sciroppata. Un ampio ventaglio di vini bianchi va dal profumato Vermentino alla sapida e morbida Ansonica, fino al tradizionale Procanico, che non è altro che il trebbiano toscano, tutti ottimi, per esempio, con i totani fritti. L’Elba Rosato è a base di sangiovese, e il Rosso, uvaggio di sangiovese con possibili contaminazioni di canaiolo e ciliegiolo ma anche di syrah, cosi come l’Elba Sangiovese.

La Maremma e il Grossetano
Per molto tempo la Maremma è stata la nuova frontiera del vino toscano, un eldorado viticolo scoperto da imprenditori che hanno investito in vigna e in cantina e l’hanno trasformata in una realtà consolidata e certificata da dieci denominazioni, di cui due DOCG.

La zona costiera e l’entroterra grossetano, con le colline metallifere a nord e le colline tra Siena e Grosseto e l’Amiata a sud, erano occupati da paludi; oggi, di un tempo, sono rimasti solo la scontrosità dei butteri e il paesaggio un po’ selvaggio dei boschi e dei parchi naturali. La Maremma, oggi, è un territorio ad altissima vocazione vitivinicola, grazie all’influenza del mare e alla grande luminosità, condizioni ideali per creare vini di personalità.
E i vini maremmani da rustici sono diventati eleganti.

Di recente approvazione è la denominazione Maremma Toscana, che comprende l’intero territorio provinciale di Grosseto, con vini a base di trebbiano toscano e di sangiovese.
La bandiera enologica della Maremma è il Morellino di Scansano DOCG, diventato uno dei testimonial della Toscana nel mondo. In questa zona i terreni sono sabbiosi o più ricchi di scheletro e il territorio scende dall’alta collina di Scansano, a 500 metri, alla pianura di Alberese, vicino al mare.

Gli elementi comuni sono il clima caldo e la scarsa piovosità, che permettono una buona maturazione del sangiovese, qui denominato morellino, che ricorda il colore del manto e l’impeto dei cavalli morelli. L’uvaggio è dominato da oltre l’85% di sangiovese, completato dai consueti internazionali, dal raro alicante bouschet, un incrocio di petit bouschet e grenache, canaiolo, colorino e ciliegiolo.

Le diverse declinazioni comprendono innanzitutto i vini d’annata, che ricalcano il solco della tradizione locale, con un blend spesso autoctono e la vinificazione in acciaio, condizioni che permettono di esprimere tutta la freschezza fruttata del sangiovese.
I vini d’annata evoluti, elaborati da sangiovese in purezza o in percentuali molto alte, subiscono un leggero passaggio in barrique e sono più strutturati e complessi. L’apice qualitativo del Sangiovese scansanese è ottenuto da una macerazione più lunga, con una maggiore estrazione di polifenoli, e da un’evoluzione in barrique fino a dodici mesi. Il vino è potente, caldo e tannico, con spiccate sfumature di ciliegia, balsamiche e ferrose, ottimo con spezzatino di capriolo alle spezie. Infine la Riserva, con evoluzione minima di due anni in botte, è un vino di struttura con accattivanti sentori speziati e di confettura di prugne, interessanti con un’arista di maiale ai funghi porcini.

Sempre in Maremma, a nord di Grosseto, si trovano le denominazioni Monteregio di Massa Marittima e a sud Parrina, Ansonica Costa dell’Argentario e Capalbio.

L’area del Monteregio di Massa Marittima interessa la fascia costiera da Follonica a Castiglione della Pescaia e le Colline Metallifere, dove il sangiovese è ancora protagonista assoluto, mentre tra i vitigni a bacca bianca si segnalano trebbiano e vermentino. Nelle zone settentrionali della denominazione i terreni sono più calcarei e danno un Rosso più fresco, mentre in quella meridionale prevale il galestro, che regala eleganza e sapidita. Nelle aree più interne, i terreni ricchi di scheletro e minerali di Gavorrano offrono al Monteregio Rosso una struttura inaspettata e ben supportata da ottimi tannini, che lo rendono perfetto con pecorini stagionati.

Scendendo lungo la costa si incontrano la piccola denominazione Parrina, quasi un’esclusiva di una azienda, e l’Ansonica Costa dell’Argentario Bianco, dotato di buona morbidezza. La denominazione più a sud é Capalbio, con vini rossi a base di sangiovese o di cabernet sauvignon e freschi Vermentino.

L’entroterra grossetano comprende il comprensorio amiatino e quello delle colline di Pitigliano e Sovana. Incastonato tra il territorio del Morellino di Scansano e quello di Montalcino, sulle pendici orientali del Monte Amiata, il territorio di Montecucco è molto vocato sia per i terreni di arenaria e di composti lavici, sia per l’ottima esposizione e ventilazione. La denominazione Montecucco prevede vini rossi da sangiovese e bianchi da vermentino, mentre il Montecucco Sangiovese DOCG rivela una inaspettata struttura e sapidità, ed è ottimo con il roast beef al pepe.

Un po’ più a sud-est, su una rupe di tufo, si staglia il borgo medievale di Pitigliano, dove si produce il Bianco di Pitigliano DOC, un tempo solo da trebbiano e malvasia, oggi anche da chardonnay e sauvignon, rivalutato grazie a una gradevole semplicità e freschezza.

Nello stesso territorio si trova la denominazione Sovana, colorata solo di rosso e rosato, dove il sangiovese, unito a cabernet sauvignon o merlot, si esprime su livelli discreti. Molto più significativo è il dolce Aleatico, con intensi sentori di rosa canina e lampone, succoso e fruttato anche all’assaggio, ottimo con una crostata di lamponi con crema alle rose.

Vitigni

Il vigneto toscano, 57.861 ettari disposti soprattutto in collina è dominato dai vitigni a bacca nera (85%), con il sangiovese a recitare il ruolo di dominatore incontrastato. In Toscana, nel 2013, sono stati prodotti circa 2.657.000 ettolitri di vino, il 69% DOP e il 25% IGP.

I sistemi di allevamento della vite più utilizzati sono l’archetto toscano con o senza sperone, il guyot semplice e multiplo nell’area chiantigiana, il capovolto e il cordone speronato, quest’ultimo molto diffuso a Montalcino.

Il sangiovese è il vitigno toscano per eccellenza, non solo perché occupa oltre il 65% del vigneto, ma soprattutto perché è la base della maggior parte dei grandi vini rossi della regione, dal Chianti al Brunello di Montalcino, dal Vino Nobile di Montepulciano al Morellino di Scansano.

Il sangiovese è un vitigno che matura tra la fine di settembre e i primi di ottobre, predilige i terreni calcareo-argillosi ed è piuttosto esigente nei confronti dell’ambiente pedoclimatico. Per questo motivo non riesce sempre a esprimersi al meglio in purezza, rivelando a volte tratti un po’ troppo ruvidi e richiedendo, in questi casi, il taglio con vitigni tradizionali come canaiolo nero, malvasia nera o colorino, o internazionali come cabernet sauvignon, merlot e altri ancora. I sistemi di allevamento più diffusi per la coltivazione del sangiovese sono il guyot e il cordone speronato.

Intorno alla metà del XIX secolo, una classificazione ampelografica riconosceva due biotipi più importanti: il sangiovese grosso o dolce o gentile e il piccolo o forte, diversi per la dimensione dell’acino. La classificazione attuale contempla invece cinque biotipi principali, distinti in base alla forma del grappolo e attitudini colturali: sangiovese piccolo, sangiovese grosso o brunello, prugnolo gentile, sangiovese romagnolo a cannello lungo e sangiovese del grossetano, detto anche morellinoIl sangiovese grosso ha una buccia più spessa e ricca di polifenoli, che offre al vino una maggiore concentrazione di pigmenti e tannini.

Alcuni recenti studi ampelografici, basandosi sull’analisi del DNA, hanno messo in crisi l’ipotesi dell’origine toscana del sangiovese, confermando che deriva da un inerocio tra ciliegiolo e calabrese montenuovo, un vitigno di origine meridionale quasi del tutto scomparso. La prima testimonianza scritta che documenta questo vitigno è del 1590: Gianvettorio Soderini descrisse il sangioveto o sanghiogheto

vitigno sugoso e pienissimo di vino… che non fallisce mai

Alla Toscana resta comunque il primato della quantità, ma soprattutto della qualità dei vini prodotti da questo vitigno, grazie alla decisiva influenza del galestro e dell’alberese, uniti alla tessitura sabbioso-argillosa di molti terreni. E, su tutto, la perfetta interazione con l’intervento dell’uomo.

L’adattabilità del sangiovese a vari terroir e stili produttivi lo rende versatile e poliedrico. La costanza e la forza del sangiovese sono da ricercare nella sua spiccata e naturale acidità, che da un lato è garanzia di longevità e dall’altro offre un’ottima bevibilità e versatilità nella creazione di interessanti abbinamenti. La magica combinazione di componenti acide tanniche, integrate nella struttura, possono dare vita a versioni di sangiovese che mettono in luce grande eleganza come Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano, austerità come il Chianti Classico, potenza come il Morellino di Scansano, o addirittura freschezza e semplicità in numerosi vini da consumare quotidianamente.

Il sangiovese dà spesso vini dotati di una veste rosso rubino di media intensità, profumi di viola, marasca e frutti di bosco, che virano verso il cuoio e la terra, il sottobosco e il tabacco con l’invecchiamento, a volte accompagnati da note balsamiche e mentolate. Al gusto denota una struttura discreta, buona tensione acido-sapida e pseudocalorica, con tannini generalmente composti e un finale speziato e fruttato.

Oltre al sangiovese, i vitigni a bacca nera, suoi complementari storici, continuano ad avere un ruolo fondamentale negli uvaggi: nell’entroterra toscano, canaiolo nero (4%), malvasia nera e mammolo domano la natura un po’ dura del sangiovese in gioventù, mentre sulla costa sono diffusi il ciliegiolo e l’aleatico.

Il ciliegiolo (1%), prodotto soprattutto in Maremma, dà in genere vini mediamente colorati e intensamente profumati di ciliegia, sentori che lo rendono molto accattivante.

Al contrario, il colorino (1%), altro gregario del sangiovese, offre un colore intenso e un ottimo apporto polifenolico.

L’aleatico (0.2%) si sviluppa in due areali ben definiti: la costa maremmana e l’Elba, e l’entroterra grossetano tra Sovana e Pitigliano, dove esprime le sue doti in deliziosi vini passiti ricchi di colore e sfumature di frutti di bosco e noce moscata, con una nota tannica appena abbozzata.

In Toscana hanno trovato un ambiente ideale anche diversi vitigni internazionali, quali cabernet sauvignon e franc (6%), merlot (6%), pinot nero e syrah. I cabernet erano presenti già oltre trecento anni fa a Carmignano, dove erano chiamati uvo francesca, cioè francese. Negli anni ’90, il rivoluzionario cambio di disciplinare del Chianti e di altri vini ha permesso al cabernet sauvignon e ad altri vitigni internazionali come il merlot, di entrare nell’uvaggio come complementari del sangiovese, e da allora la loro diffusione è stata molto ampia. L’areale più famoso è Bolgheri, frazione di Castagneto Carducci, dove l’intuizione del Marchese Mario Incisa della Rocchetta ha rivelato un sorprendente feeling dei vitigni internazionali con questo territorio. Qui, i cabernet danno vini di altissimo livello, nei quali la toscanizzazione è evidente nella presenza di tannini raffinati e nella trasformazione delle varietali note erbacee in più frequenti ed eleganti sentori balsamici e mentolati.

Anche il merlot permette di raggiungere grandi risultati, soprattutto sulla costa tirrenica, grazie alla sua notevole capacità di adattamento nei terreni argillosi, dove esprime intensi accenti fruttati e ottima morbidezza.

Gli impianti di syrah sono stati favoriti da studi di zonazione che ne hanno evidenziato l’attitudine nei territori marittimi del Livornese e del Grossetano, delle Colline Pisane e della Lucchesia, oltre che in un nuovo areale come la Val di Chiana, in particolare a Cortona.
Questo vitigno esprime colori pieni e profondi, ma soprattutto sentori di amarena e spezie dolci, trama gustativa di grande morbidezza e tannini ben integrati.

Infine, il difficile pinot nero rappresenta oggi la rivincita e la sfida di alcune zone pedemontane, in cui la viticoltura è stata sempre marginale, come il Mugello, il Casentino e l’Alta Lucchesia, nelle quali riesce a offrire le sue doti di eleganza e raffinato equilibrio.

Tra le uve a bacca bianca, il vitigno storico è il trebbiano toscano (7%) molto diffuso e apprezzato un tempo per le sue alte rese. Oggi è utilizzato in varie zone per elaborare vini bianchi semplici e il celeberrimo Vin Santo, presente in numerose denominazioni, sorte condivisa dalla malvasia del Chianti (3%), uva molto generosa e dotata di delicata aromaticità, che un tempo era utilizzata per ammorbidire il sangiovese nell’uvaggio chiantigiano.

La vernaccia di San Gimignano rappresenta solo l’1.5% del vigneto toscano ed è un vitigno autoctono a maturazione medio-tardiva, già citato da Dante nella Divina Commedia, nel XXIV cano del Purgatorio:

Martino V purga per digiuno le anguille di Bolsena e la Vernaccia

Queste uve esprimono le loro doti in vini particolari, con profumi delicati di mela selvatica e tiglio in gioventù e più complessi dopo evoluzione in legno, anche se il loro lato migliore è l’assaggio sapido e strutturato.

Tra le uve a bacca bianca, il vermentino (1.5%) è il vitigno più significativo della costa tirrenica, dove riesce a tradurre molto bene i vari terroir della Toscana marittima, comenell’area apuana o nel Bolgherese, con profumi che spaziano da note di mela, agrumi e frutta esotica a delicate nuance di erbe aromatiche e di macchia mediterranea, mantenendo decisa freschezza e sapidità, legata a un imprinting territoriale spesso mediato da un’elegante morbidezza.

Sempre sul mare si trova l’ansonica o inzolia, coltivata nelle isole del Giglio e d’Elba e sulla costa maremmana, dove dà vini che traducono il territorio con profumi di macchia mediterranea e un’ammiccante sapidità finale.

Storicamente, a Montalcino si coltivava il moscato bianco, chiamato localmente moscadello; la sua produzione è stata ripresa di recente, in particolare nell’area meridionale del comune, per elaborare un vino da uve raccolte in vendemmia tardiva, dolce e morbido, con profumi di albiccocca e pesca sciroppata.

Infine sia lo chardonnay, impiantato nella metà del XIX secolo a Pomino, ora presente in varie zone toscane, sia il sauvignon blanc diffuso sulla costa tirrenica, riescono a esprimere anche in Toscana la loro spiccata personalità in vini di ottimo livello qualitativo.

Di seguito troverai alcuni dei Vitigni piu famosi per la regione Toscana

canaiolo nero

Canaiolo

Il vitigno denominato Canaiolo rappresenta un sinonimo per per i vitigni Canaiolo nero. Clicca sul nome dei vitigni per accedere alla scheda completa dei vitigni […]

trebbiano giallo

Trebbiano

Il vitigno denominato Trebbiano rappresenta un sinonimo per per i vitigni Trebbiano giallo. Clicca sul nome dei vitigni per accedere alla scheda completa dei vitigni […]

Denominazioni

Di seguito troverai alcune delle Denominazioni piu famose per la regione Toscana

brunello di montalcino docg logo

Brunello di Montalcino DOCG

Il Brunello di Montalcino è un’icona dell’enologia Italiana, un vino giustamente famoso ed apprezzato in tutto il mondo. La zona di produzione del Brunello di Montalcino è limitata al solo comune di Montalcino, in provincia di Siena, cosa […]

carmignano docg logo

Carmignano DOCG

La denominazione di origine Carmignano DOCG è riservata al vino rosso, fermo, ottenuto a partire da uve del vitigno Sangiovese (min.50%), Canaiolo nero (max.20%), Cabernet […]

chianti classico docg logo

Chianti Classico DOCG

La denominazione di origine Chianti Classico DOCG è riservata ai vini rossi prodotti nella zona più antica del Chianti, a cavallo tra le province di […]

chianti docg logo

Chianti DOCG

La denominazione di origine Chianti DOCG comprende le tipologie Chianti, Chianti superiore e Chianti riserva, con riferimento anche alle sottozone:  Chianti Colli Aretini, Chianti Colli Fiorentini, Chianti Colli […]

morellino di scansano docg logo

Morellino di Scansano DOCG

La denominazione di origine Morellino di Scansano DOCG è riservata ai vini prodotti con uve del vitigno Sangiovese (localmente chiamato Morellino) per almeno l’85% e per […]

suvereto docg logo

Suvereto DOCG

La denominazione Suvereto DOCG è riservata ai vini che, nell’abito delle loro tipologie, vengono vinificati a partire da uve dei seguenti vitigni: Suvereto DOCG: Cabernet Sauvignon e […]

Produttori

Di seguito troverai alcuni dei Produttori piu famosi per la regione Toscana

Vini

Di seguito troverai alcuni dei Vini piu famosi per la regione Toscana

Torna in alto