Liguria

Le Origini

Un ampio arco di costa colorato da una miriade di piccoli borghi aggrappati ai rilievi dell’entroterra e un diffuso luogo comune che sottolinea la proverbiale parsimonia dei suoi abitanti: è questa l’immagine più frequente che si ha della Liguria. L’agricoltura viene da lontano e non è il suo punto di forza, ma ha camminato di pari passo con la vocazione commerciale di Genova, fino a fare coincidere la sua massima espansione con il primato mercantile del capoluogo tra tutte le Repubbliche marinare.
Non sono state le esigenze di sopravvivenza o di consumo interno a spingere l’uomo a modellare il territorio aspro e a mantenere le ripide terrazze degradanti verso il mare con un lavoro secolare, ma la supremazia di Genova, che portò il vino ligure nei principali porti del Mediterraneo e del Nord Europa, sviluppando un florido tessuto sociale ed economico. Proprio nella superba, agli inizi del XV secolo, nacquero la prima banca e la prima compagnia di assicurazioni del mondo.
La viticoltura attinse a piene mani dai luoghi lontani, approdo delle flotte, e prima dell’arrivo della fillossera, verso la fine del XIX secolo, in Liguria erano coltivati oltre 300 vitigni, oggi ridotti a una trentina.

Il declino della viticoltura iniziò nella seconda metà del XX secolo, per compiacere le lusinghe della siderurgia, della cantieristica e della meccanica pesante.
Oggi, la Liguria è tra i fanalini di coda della produzione italiana, con una prevalenza di vini bianchi, tra i quali spiccano nettamente quelli ottenuti dal Vermentino, e si assiste a una chiara dicotomia produttiva tra la Riviera di Ponente, di impronta piemontese e ispirata all’utilizzo di monovitigni, e quella di Levante, che introduce la filosofia toscana dell’uvaggio. Anche se negli ultimi anni queste differenze tendono in parte a sfumare, perché le richieste del mercato sono più orientate verso le singole varietà.

La vocazione agli scambi con luoghi lontani ha influenzato la cucina ligure, che ha fatto proprie materie prime di pregio, sconosciute ed esotiche, come peperoni e melanzane, merluzzo essiccato o salato e addirittura il pesto e le altre salse da mortaio. L’olio extra vergine di oliva, il vino e le erbe aromatiche fanno invece parte di una cultura tutta ligure.

La dolce cultivar taggiasca, ottima anche come oliva da mensa, è un punto di riferimento esclusivo; basilico, timo, maggiorana, origano, salvia e rosmarino, cosi come pinoli, noci e nocciole, profumano ogni piatto. Su tutti le tradizionali trenette o trofie al pesto oppure i pansoti con la salsa di noci, perfetti con un bicchiere di Riviera Ligure di Ponente Pigato.

Contrariamente a quanto si possa pensare, quella ligure è prevalentemente una cucina di terra, con piatti come la torta pasqualina, da provare con un sapido Val Polcèvera Coronata, il coniglio alla ligure con un fragrante Ciliegiolo del Golfo del Tigulio, l’irresistibile focaccia di Recco col formaggio con una freschissima Bianchetta genovese. Non mancano tuttavia piatti di pesce, da gustare in graziosi ristoranti di fronte a paesaggi incantevoli, tra i quali il cappon magro e lo zimino di seppie. ottimi con un Colli di Luni Vermentino di buona evoluzione. E a fine pasto, una fettina di pan-dolce genovese addolcisce il palato con un sorso di prezioso Cinque Terre Sciacchetra.

Il clima ed il territorio

Il territorio ligure è per circa 2/3 montuoso e lascia meno dell’1% alla pianura, disposta in piccole aree costiere come le piane di Sarzana e di Albenga, rinomate per le coltivazioni ortofrutticole. Le migliori opportunità di sviluppo per la viticoltura si trovano lungo i pendii collinari, che occupano circa il 35% della superficie. La particolare
morfologia della regione, che vede nel Colle di Cadibona il punto di incontro tra le Alpi Marittime e l’Appennino, crea un riparo naturale dalle correnti fredde che provengono da settentrione, mentre il Mar Ligure è un ottimo
accumulatore di calore.

Il clima è mediterraneo, anche se in alcune aree interne è subcontinentale, con forti escursioni termiche giornaliere e stagionali, che condizionano favorevolmente il corredo aromatico delle uve. I vigneti salgono dal livello del mare fino a oltre 500-600 metri, dove, nelle giornate più calde, l’umidità è mitigata dalle fresche brezze marine, che limitano drasticamente gli attacchi fungini sulle uve.

I terreni ricchi di calcare del versante occidentale offrono ai vini una buona mineralità, mentre quelli prevalentemente argillosi di quello orientale li arricchiscono in struttura e morbidezza.

Zone vitivinicole

Il territorio ligure è convenzionalmente diviso da Genova in due aree geografiche distinte, la Riviera di Ponente e quella di Levante, molto diverse anche sotto il profilo vitivinicolo.

La Riviera di Ponente si è sempre riconosciuta nel modello piemontese, per la coltivazione di varietà come dolcetto e barbera, ma soprattutto per la pratica consolidata della vinificazione in purezza.

La Riviera di Levante ha invece privilegiato l’uso toscano dell’uvaggio e la presenza significativa di sangiovese, canaiolo, trebbiano e malvasia, molto diffusi proprio in quella regione. Le recenti modifiche dei disciplinari hanno reso tuttavia meno evidente questa chiave di lettura e l’attuale filosofia produttiva è sempre più orientata a valorizzare i singoli vitigni, seguendo l’esempio del vermentino, che ha raccolto consensi in tutto il territorio.

Al confine con la Francia, la prima zona ad alta vocazione vitivinicola è il comprensorio del Dolceacqua DOC, tra la Val Nervia e la Val Crosia, dove alligna incontrastato il clone rossese di Ventimiglia. Questo vitigno dà vini di discreta complessità e struttura, con profumi di ribes nero e marasca, da abbinare alla capra con i fagioli, mentre il rossese di Campochiesa è diffuso lungo la costa e dà vini con colore più tenue e tannini molto docili, da gustare con le zuppe di crostacei.

Nell’area adiacente dell’Alta Valle Arroscia, l’ormeasco domina dal 1303, anno in cui il Marchese di Clavesana, Podestà di Pornassio, ne impose la coltivazione ai suoi sudditi. Rispetto all’omologo piemontese è più versatile, tanto che nella denominazione Ormeasco di Pornassio dà vini rossi di pronta beva, vini di ampia struttura, passiti e rosati freschi e fragranti chiamati sciac-trà (pigia e svina), da abbinare con la sardenaira, la tipica pizza ligure-provenzale. Nel resto della Riviera di Ponente ci pensa il pigato a fare compagnia all’onnipresente vermentino.

Non appena si entra nella provincia di Genova, attraverso il comprensorio della Val Polcèvera DOC scende in campo la bianchetta genovese, che dà vini particolarmente freschi, perfetti con una frittura di paranza.

Il Golfo del Tigullio vede pratagonista il fragrante Ciliegiolo, che qui si abbina soprattutto al bagnun, piatto in umido a base di acciughe e pomodoro fresco, oppure a funghi grigliati al prezzemolo. Soltanto in Val Petronio, nell’entroterra di Sestri Levante, resiste la coltivazione del moscato bianco, portato dal Piemonte nel 1600 dai monaci benedettini, che è sfruttato per la produzione di vini dolci leggeri e vivaci fermentati in autoclave, da abbinare a soufflé agli agrumi, oppure più raramente per ottenere vini passiti che sposano alla perfezione una crostata di albicocche.

In provincia della Spezia si produce quasi il 50% del vino ligure e le prime avvisaglie di una rispettabile produzione si notano nella denominazione Colline di Levanto, dove compare per la prima volta il sangiovese, ma ancora di più nelle  Cinque Terre, dove allignano quasi esclusivamente vitigni a bacca bianca, con la freschezza dell’albarola e l’eleganza del vermentino a mitigare l’esuberanza del bosco.

Piccola perla enologica, lo Sciacchetrà è prodotto con una netta prevalenza di bosco rispetto alle altre due varietà. La raccolta è rigorosamente manuale, l’appassimento dei grappoli si protrae per circa tre mesi dalla vendemmia e l’evoluzione è lenta, spesso condotta in piccoli caratelli di castagno o di acacia. Il vino è un nettare racchiuso in meno di 10.000 piccole bottiglie all’anno, da abbinare con il panforte di Siena o dolcetti al cioccolato e frutta candita.

Poco prima della foce del Magra si innalzano i Colli di Luni e l’omonima denominazione, dominata da vitigni tradizionali toscani e situata in posizione strategica tra Liguria e Toscana, da tempo legata alla cultura variegata di entrambe le regioni. Del resto, la fama vitivinicola della Lunigiana è molto antica e già Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, decretava il primato del vinum lunense. Qui, il Vermentino in purezza esprime sentori di agrumi canditi che si ritrovano anche all’assaggio, mentre in uvaggio con trebbiano e malvasia offre maggiore freschezza ed è perfetto in abbinamento con il lardo di Colonnata.

Vitigni

Il vigneto è prevalentemente collinare e a tinte chiare, esteso su 1535 ettari, con i vitigni a bacca bianca che ne occupano il 65%, tra i quali il vermentino domina incontrastato. Nel 2013 la produzione si è limitata a circa 46.000 ettolitri di vino, DOP per il 79% e IGP per il 9.2%.

Tra i sistemi di allevamento più diffusi, alberello e pergola bassa resistono ancora al guyot, con sesti di impianto tradizionalmente molto fitti, non tanto per assecondare i dettami della moderna viticoltura di qualità, ma per ottimizzare le strette terrazze, realizzate con terra di riporto.

Il vermentino è il vitigno prediletto del Genovesato, e quello che gode la riputazione la piú estesa fra le varietà che si coltivano da Ventimiglia a Sarzan

scriveva nel 1817 il Conte Giorgio Gallesio nella Pomona italiana. Da allora poco è cambiato, perché il vermentino è ancora la varietà preferita dai vignaioli e occupa il 45% circa dell’intera superficie vitata e quasi il 70% di quella dedicata ai vitigni a bacca bianca. Le sue radici sono incerte e si dibatte
sull’ipotesi sostenuta da Puillat nel 1888, ripresa poi da Carlone nel 1964, che il vermentino sia arrivato prima in Sardegna dalla Spagna, passando attraverso la Corsica. La teoria piú recente di Fregoni, del 1991, si focalizza sulla sua stretta similitudine con la proles pontica che ne fa risalire le origini in Medio Oriente, da dove sarebbe approdato sulle coste del Mediterraneo
e poi definitivamente radicato nel Tirreno settentrionale. II vermentino, in Liguria, è un vitigno ubiquitario e a maturazione media, che nei terreni calcarei di Ponente esprime una spiccata mineralità, mentre la dominanza di argille a Levante lo rende più avvolgente.
Il profumo richiama nitidamente la mela golden e la pesca gialla, grazie a una vinificazione realizzata prevalentemente in acciaio, mentre il gusto si dispone su toni morbidi. Alcune recenti sperimentazioni di vinificazione in legno hanno messo in evidenza sentori di ardesia e di frutti esotici maturi, lasciando intravedere eccellenti prospettive di evoluzione nel tempo.

I profumi di erbe aromatiche, incenso e macchia mediterranea, con inattesi sentori minerali dopo evoluzione, disegnano il quadro olfattivo dei
vini ottenuti dal pigato (8.5%o), dotati di un profilo gustativo elegante e avvolgente. Questo vitigno, la cui diffusione segue a ruota quella del vermentino, è un suo parente stretto, da cui deriverebbe per mutazioni genetiche gemmarie. Il nome, piuttosto curioso, sembra derivare dalla voce dialettale pigàu, picchettato o macchiettato, per le piccale macchie color ruggine presenti sull’acino, chiamate localmente pighe.
Il terzo gradino del podio se lo aggiudica il bosco (3.9%), diffuso quasi esclusivamente nelle Cinque Terre dove, grazie al grappolo spargolo e alla buccia spessa e ricca di estratti, offre un significativo contributo all’uvaggio del dolce Sciacchetrà.

Altre piccole produzioni riguardano la bianchetta genovese, che dà ai vini una chiara impronta di freschezza e delicati profumi di fiori di campo ed erba cedrina, e l’albarola, che offre un assaggio altrettanto vivace coniugato con sentori di mela verde e uva spina.

Tra le uve a bacca nera, il rossese la fa da padrone, con oltre il 14.3% della produzione totale, seguito a Levante dal sangiovese e dal ciliegiolo e a Ponente dal dolcetto. Vitigno a maturazione medio-precoce, si propane in due declinazioni: più delicati i vini prodotti sul litorale, più strutturati quelli dell’entroterra, ma trovano un denominatore comune nel colore tenue e nel tannino vellutato.

Il sangiovese (6%) è presente soprattutto nell’estremo lembo di Levante enei rari casi in cui è vinificato in purezza si esprime con un colore non particolarmente profondo, profumi di viola mammola e un tannino piuttosto docile.

Il ciliegiolo (3.2%) ha un nome che dice tutto. Gli acini di colore rosso chiaro e forma sferoidale ricordano le ciliegie e danno un vino poco colorato e piuttosto trasparente, con struttura delicata e lievi note di fragola, lampone e fiori di lillà.

Il vitigno ligure più versatile è l’ormeasco (3.5%) o dolcetto e differisce dal consanguineo piemontese per un’acidità e un tannino più spiccati, complici anche i vigneti situati a un’altitudine che spesso supera i 500 metri sul mare.

Di recente si è verificata una timida apertura verso due vitigni della tradizione mediterranea, grenache e syrah, vinificati in purezza o in uvaggio con gli autoctoni, per dare vini caldi e solari.

In prossimità del confine con la Toscana sono merlot e cabernet, presenti da un paio di secoli, a dare manforte al sangiovese, ma anche varietà minori salvate dal rischio di estinzione come massaretta e pollera, in grado di incrementare, negli uvaggi con il sangiovese, rispettivamente l’intensità del colore e la freschezza.

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Il vitigno Dolcetto è chiamato in liguria col nome “Ormeasco”. Per accedere alla pagina del vitigno Dolcetto con la descrizione completa, i descrittori ampelografici, le […]

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Il territorio della Denominazione di Origine Val Polcevera DOC ricade nella parte occidentale della provincia di Genova, comprendendo buona parte della città di Genova e […]

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