Vini d’altura. Scopriamo i vini prodotti in quota da vendemmia eroica

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Freddo, altitudine e vigne sembrano fattori che non vanno molto d’accordo, ma come ci insegnano le produzioni tedesche e quelle in Trentino-Alto-Adige, con passione e dedizione si può riuscire a ottenere un prodotto di eccellenza anche laddove in tanti rinuncerebbero.

Ci sono vignaioli che hanno scelto di sperimentare la coltivazione dei vini d’altura, dai 700 mt slm fino a volte ai 1000 mt slm con successo meritato. Ormai in giro se ne parla parecchio, con il nome meritatissimo di viticoltura eroica.

L’avventura dei vini in quota italiani

C’è chi li chiama vini estremi, c’è chi invece preferisce un più sentito appellativo di eroici, ma sono comunque vini prodotti con coltivazione in montagna ad altezze a volte quasi proibitive per la crescita delle piante, dove gli ostacoli sono il freddo, l’insolazione estrema in estate e le escursioni termiche tutte le stagioni.

I vantaggi per chi li sa sfruttare ci sono, come un terreno minerale e l’aria limpida che riesce a far sprigionare note davvero uniche anche in vini che hanno una struttura delicata e quasi effimera a volte.

A fianco alla natura, però ci sono fatica e dedizione di maestri vignaioli che hanno conquistato palmo a palmo il terreno per le loro coltivazioni in zone con condizioni spesso proibitive, sopra 700-800 metri, pendenze che impediscono terrazzamenti ampi e profondi, a volte sopra il 50%, e selezioni di piante che si sono lentamente acclimatate e che senza di loro scomparirebbero rapidamente, lasciando un vuoto nella produzione viticola di eccellenza italiana.

A differenza dei comodi vigneti in pianura e in prima collina dove tutto è più facile e le produzioni spesso sono estensive e non soltanto intensive con ampi filari di vigneto e il profumo che in autunno si sprigiona nell’aria per chilometri, le coltivazioni in montagna invece vedono protagonisti piccolissimi appezzamenti di terreno, aperti spesso a condizioni difficili durante l’inverno e non solo.

Anche l’estate può mettere a dura prova queste delicate piante con filari strettissimi, i muretti a secco di contenimento per strappare alla montagna un po’ più di terra e dare un po’ più di respiro ai filari e a volte curiosi aiutanti che si occupano di tenere in ordine le coltivazioni più difficili.

Pecore, oche e galline a volte si trovano incaricate di tener pulito il terreno dove l’uomo fatica a mettere piede quando non è strettamente necessario. In montagna tutto lavora insieme, volente o nolente e questo abbassa l’impatto delle coltivazioni su un terreno in generale povero.

Agricoltura e montagna hanno sempre lottato una contro l’altra, spesso trovando compromessi che sanno eccitare e stupire amatori e chef o in questo caso sommelier.

Visto che il territorio italiano è spesso più o meno in quota, a parte pianure piuttosto piccole, i vigneti d’altura sono molti di più di quanto ci si possa immaginare e stanno trasformandosi in tendenza, perché la moda colta di oggi punta verso vini con freschezza, meno peso alcolico e facilità di abbinamento con una che è diventata dieta più leggera.

Vini alti, anzi altissimi

Vale la pena dare un’occhiata e fare una carrellata su quelle che sono le migliori zone per le produzioni viticole italiane d’altura, per cominciare a esplorare un po’ alla volta le proposte che hanno saputo conquistare l’attenzione di grandi esperti e amatori.

I vitigni che caratterizzano l’agricoltura di montagna sono da un lato quelli classici, che troviamo anche nella vinificazione tradizionale e più diffusa come per esempio Barbera e Merlot, ma ci sono anche eccellenti esempi di Mezzanino, Erbanno e Nebbiolo.

Anche vitigni rari come la Chiavennasca spesso vengono utilizzati in particolare nelle vinificazioni nel Nord Italia, fra Lombardia e Veneto dove le zone di produzione massiva progressivamente si fondono con quelle sempre più impegnative in montagna.

Spesso la scelta è quella di mantenere poco tempo le fecce nella lavorazione, per evitare che la struttura in crescita del vino metta in risalto alcune delle criticità come la durezza delle condizioni che portano le bacche a essere leggermente più sapide del necessario, perché in montagna la maturazione è difficile.

Troviamo tecniche di affinamento particolare in cemento, che consentono di modificare in maniera considerevole l’acidità e l’ossidazione del vino, poco diffuse per la produzione in pianura, ma che per eccellenze e particolarità di montagna, in particolare quelle senza bucce come la vinificazione a bianco per bacche di Barbera offrono ottime possibilità di esplorazione.

La coltivazione molto spesso viene fatta a partire da terrazzamenti di riporto, questo consente di rimescolare il terreno superficiale che di solito ha uno strato fertile estremamente sottile, spesso pochi centimetri, con i livelli più profondi e con minerali che per tanto tempo sono rimasti a riposare e che adesso diventano disponibili, dando così una struttura peculiare a tanti vini.

A fianco dei bianchi che comunque si prestano molto bene per la coltivazione in montagna, anche se è questo è soltanto un eufemismo, perché dietro c’è la fatica e una selezione a volte maniacale da parte di produttori che non si sono arresi di fronte alle difficoltà del terreno, ci sono produzioni locali molto rare.

Meritano una menzione la Chiavennasca che riesce a offrire un’espressione unica, poco impegnativa e soprattutto con un grado alcolico che si può tranquillamente a affrontare anche con la cucina più light.

vini d'altura nella valle di isarco

I vitigni del freddo

Se ci si sposta in zone più impervie come la Valle d’Aosta, si riescono a trovare addirittura vigneti che sfiorano i 1000 metri di altitudine, complice il vento caldo che a volte spira e in primavera spesso hanno ancora le gemme ghiacciate.

Questo permette di ottenere un prodotto speciale perché le bacche diventano riserve idriche molto importanti per la pianta e quindi offrono un ottimo raccolto vinificabile, come la Petite Arvine della zona di Villeneuve, con una pendenza che a volte sfiora il 50% e le radici che devono affrontare ardesia e sabbia con risultati sorprendenti.

Infatti nel vino si trovano i sentori della mela e del gelsomino, mescolati alla roccia, di solito considerata una caratteristica poco gradevole, ma che con una struttura così leggera e bassa gradazione sa farsi amare e soprattutto abbinare con i piatti del territorio, che sono notoriamente impegnativi.

In Trentino, invece, con l’influenza particolare e moderatrice dei laghi si trovano ottime vinificazioni asciutte e prive di morbidezza per lo Chardonnay che ha saputo lasciarsi adattare all’alta quota.

Purtroppo si tratta di produzioni molto contenute, perché occorre parecchia fatica per convincere le piante a sopravvivere al clima ma i risultati sono apprezzabilissimi per chi è alla ricerca di un gusto che colpisca il palato.

Non molti lo sanno ma, nelle zone della Valle Isarco in Alto Adige si trovano gli effettivi limiti settentrionali delle aree viticole italiane, con uve tardive e una tradizione che risale al medioevo e in particolare all’ordine Canonico degli Agostiniani che nell’Abbazia di Novacella produceva già dal XII secolo un vino particolare.

C’è poi da considerare il fatto che questa zona è ricca di foreste e il legno che si ricava per l’affinamento in botte offre in qualche anno di riposo note uniche, con sentori di incenso, cera d’api e passion fruit, una base sapida e anche un carattere piuttosto vivace per essere un vino di montagna.

Il Piemonte invece che è una zona dove il vino ha una bella tradizione antica, e ci regala uno dei così detti vini ghiacciati più peculiari che si possono trovare in Italia. Si tratta di una raccolta e stranamente tardiva, dopo befana di varietà autoctone rarissime come Avanà, Becuet, Chatus che sono coltivate in val di Susa. Bacche rosse per un vino aranciato unico e anche piuttosto difficile da abbinare, ma che riesce a dare soddisfazioni per i sommelier.

Non solo vini d’altura del Nord

Scendendo a sud non si possono trascurare le produzioni abruzzesi, un territorio che riesce a passare da pianeggiante ad alta montagna nel raggio di una quindicina di chilometri e dove, soprattutto nelle zone del Gran Sasso e in provincia dell’Aquila e praticamente la norma coltivare vini in quota, con ottimi risultati. È una tradizione che riesce a ottenere vini iconici e di struttura, grazie al carattere e alla testardaggine dei maestri viticoli

Scendendo giù per la penisola fino in Sicilia, sull’Etna si riescono a trovare etichette autoctone che complice il clima unico dell’isola riescono ad avere coltivazioni anche intorno ai 1000 metri di altezza.

Qua il contrasto ambientale è più stridente che al Nord. Si passa dal clima gelido della notte a un caldo torrido per lunghi periodi dell’anno con un terreno minerale e vulcanico che presenta differenze che cambiano la resa dei vigneti semplicemente spostandosi dal lato esposto al mare, con venti che influenzano in stagioni diverse la crescita e la salinità del terreno, oppure quello coperto, dove si sente più il suolo protetto e il vino riesce avere una struttura decisa anche a grande altezza.

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